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GIOVANNI BOINE 1887-1917

:: Claudio Di Scalzo: Buxtehude Boine Morente Cristo - 11
11 Maggio 2017

                               

 

 

 

 

Claudio Di Scalzo

GIOVANNI BOINE MORENTE - 11 Maggio 1917

LE MEMBRA DI BOINE ACCOSTO AL CRISTO

 Cantata Biografica 

Corpo di me-Boine personaggio che muore musicato per il viaggio. Corpo stesso in poesia nella rappresentazione della carne malata. Malattia corpo lasso mi porta a spasso nella camera in tempo-suo misurato compasso. Ruota della biografia. Scemo-io nel  dolore non tremo prendendo l’ultimo treno. Che passa non lontano da qui. Ciuf ciuf ciuf. Nel fumo della locomotiva si posa la cantata di Buxtehude Membra Jesu Nostri. C’è una scemenza sacra in Gesù? Sì, c'è c’è c’è! come in me. L’atto più alto d’amore è anche scemenza che diviene sacra degna di lacrime e custodia-preghiera quando ogni parte del corpo sgorga metafora d'una possibile salvezza.

Ciò mi consegna la cantata che sento  a memoria nell’orecchie sfrigolanti bollori-guanciale.

I piedi del Cristo sono del messaggero che annuncia la pace. Mi guardavo i piedi nelle scarpe lunghe come treni quando studiavo al ginnasio a Genova. Le scarpe-treno mi condussero nella biblioteca scolastica e qui sviluppai l’autodidattismo. Le scarpe divennero convoglio rosso, leggendo Antonio Labriola, sbuffarono fumo socialista anche se per poco. Giovanni non dimenticare come la scarpe treno ti portavano sui binari verso gli uliveti di famiglia. A Dolcedo. Neh! la casa di tu’ nonno! Nell’argento dei tronchi che si piegarono per non dare legno alla Croce. I piedi questi miei piedi raggrinziti ch'a malapena mi tegnon ritto un giorno garrivano meccanica collinare. Quante volte stando a Milano nel 1907, all’Accademia Scientifico Letteraria, ho pensato ai miei piedi che dagli ulivi scendevano al porto facendo sosta sulla terrazza circondato dai piccioni. Studiavo eresie medievali bazzicando i libri di Unamuno convinto che le lingue, anche quelle dei piedi di collina e di mare come i miei, vivessero di eresie.

Sulle ginocchia del Cristo nella cantata si compie la consolazione. L’atto della consolazione per essere precisi! La Banda del Rinnovamento. Amici che tendevano a farsi amanti nelle letteratura creando rotture e odii. Degne persone fanatiche d'una recensione d'una interpretazione: ha parlato di me il gran critico di me quell’altro. E via elencando. Dovevo sempre scegliere tra grano e ortica. Mi ferivo. Quale consolazione, dimmelo se lo sai cerchio della biografia che sta per chiudersi in questa camera del tisico potevano darmi? Anche quando seppi nel 1909 ch’ero malato di petto se la cavarono con frasi di circostanza. Luoghi comuni. Vent'anni avevo Signore-Cristo e le mie ginocchia sporgevano nude. Non ero affatto metaforico quando affermavo  che la mia sensibilità era pregna di tutte le letterature. Ma le tenevo sulle ginocchia nude. Ed erravo m’esponevo in poesia e filosofia. Come esistesse una filosofia e una poesia per giungere alle tue ginocchia nude Cristo! Ero vanesio come gli altri; certo furente a volte contro quel mondo, ma lo scantonavo per lambirlo ancora e starci in contatto con lettere che starebbero meglio nelle scarpe-treno per nettarne punta e tacchi!

 

Il volto di Boine s'accosta nell'agonia a quello del Cristo.

"Si muore col vestito migliore" diventa la rivelazione

dell'Amore sulla Croce. Con il poeta che imita Cristo.

E se amore, Giovanni Boine, nella sua vita diede errando  

ora nella sofferenza ultima tutto si piega

per il verso giusto senza bisogno di poesia e letteratura.

La più grande conquista del poeta di Porto Maurizio

e mia che lo disegno ascoltando

la cantata di Buxtehude Membra Jesu Nostri.

 

Rinunciai alla laurea e tornai a Porto Maurizio. Con le ginocchia maculate. Tornato dal sanatorio di Davos più malato di prima. Sulle mani esponevo le ferite nei polmoni. Come il Cristo mostra le sue. Novaro vedendo i palmi arrossati mi aiuta. Il direttore della Ligure Riviera che guarisca spera.  Nel 1916 con le mani ferite che non avrebbero retto una fionda faccio visita al fronte. Anche alle donne amate mostro le mani ferite rivelo che, insomma!, sono uno che s’addebolisce e che la penna prima o poi diventerà un chiodo con cui io stesso m’inchioderò sulla Croce. Che mi segue. Scrivi e scrivi soprattutto per lei, l'amata a Imperia scendendo dagli ulivi al porto, nel perderla! la penna che usai per tenerla vicino  a me con lettere  e poesie diventa chiodo che mi sta piantato nella mano destra.

Se non scrivo più da un mese un motivo c’è. Ho un chiodo nel palmo. Vicende tempestose, rotture sentimentali, angustie, amarezze sgocciano dalla mano col chiodo sulle scarpe treno ormai fermo. Sotto lo scrittoio. E dal fumo per fortuna esce la cantata di Buxtehude che sento. Perché ora del Cristo ascolto e vedo il petto: lì c’è il vaso della salvezza, dove se mi ci accosto, e mi ci strofino da giorni, vi riverso le mie ultime parole. E in questo petto, me l’ha indicato Gemma Galgani di Lucca pur’ella morta di tisi, ci sta il cuore sede dell’invasamento divino. La sua folle scemenza diventata amore gratuito dato senza chiedere niente in cambio. Su di esso struscio le mie labbra e anch’io posso dire che sono un poeta che muore amando senza chiedere niente in cambio. E che il mio carattere ferino e forse le scarpe che scartavano sui binari morti d’equivoci avevano fatto intendere che chiedessi fedeltà-esclusività alla mia persona perché poeta. Non è mai stato così! Infatti mentre la cantata va avanti nelle sue asprezze-dolcezze il volto di Cristo parte del suo corpo al mio accosto: siamo tutti e due rossi di sangue. Mi farebbe avvicinare se non fossi stato puro da sano e da malato?

Il volto di Cristo è il mio libro. Ho solo questo, solo questo m’importa, Quanto scrissi non ha alcuna importanza!  

Il mio dolore nel volto è quello del Cristo. Osmosi o simbiosi? Sfoglio il Vangelo nel suo vertice di purezza e in questa cima del dolore e della tragredia mia e del Cristo non c’è spazio per scissioni per incertezze per i riverberi delle morali letterarie delle psicologie delle estetiche!, che pula che buccia senza frutto sta’ roba! E mi ci sono dedicato da diciottenne in avanti! Il corpo vive-mio paragone col corpo-lui Figlio di Dio.

Le parti del corpo riunite nella malattia mortale, mia e di tutti coloro che soffrono il male irredimibile, sono il pensiero a cui accostarsi e la materialità viva dell’esistenza che sfuma nella morte per andare nell’eterno. Il fumo del treno a misura delle mie scarpe questo rivela.

Fra l’altro questo fumo musicale non mi fa neppure tossire. Mi fa respirae meglio. È il vestito migliore per morire.   

 

 


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