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GIOVANNI BOINE 1887-1917

:: Giovanni Boine Morente 10
09 Maggio 2017

 

 CDS: "ventinove impronte di pennellate azzurre n 18 e una nera n. 20"

 

(cm 40 x 30 su cartone)

  

 

 Giovanni Boine muore il 16 maggio 1917 a Porto Maurizio. In questo maggio è il centenario della sua morte. 

 

Dipinti e disegni da me dedicati a Giovanni Boine li esporro, il 16 maggio data della sua morte, centenario, nella camera dove vivo in questo maggio. Appicicandoli alla perete, sull'armadio, sul letto come lenzuola, per terra come mattonelle, dietro le spalle come testiera del letto. Dormirò e mi svegliero nel 16 maggio con l'autore che considero fratello nel dolore nell'arte. 

Nessuno mai saprà di questa "COMUNIONE", oltre chi raro capita sull'Olandese Volante. Ma questo è il modo, mio, di stare accosto al Maestro. Ciò mi dà gioia immensa, come aver indovinato la preghiera giusta per rivolgersi all'eterno della Poesia.

 

 

Non ha trasmesso invano Giovanni Boine, attraverso il cipresso accanto alla sua tomba, luce e parole in esse, il 30 marzo, a Imperia, nella primavera del 2014. E che intercettai. Rimanendone fedele. Per come scriverne ed evocarne l'opera.

 

 

Claudio Di Scalzo 

GIOVANNI BOINE MORENTE - 10 Maggio 1917

(Lucciole nel flacone, Salamandra lettera, cavalluccio Marino)

 I

Giovanni Boine il 10 maggio traballa anche per attraversare la camera. Non ha più parole per agguantare un minimo di consistenza ricavandone idea di sé. Fissa gli angoli del soffitto dove l’umidità ricama giravolte di scuro-verdastro. Le persiane gli rimandano luccicori d’aria pallida ma lui pensa al cipresso che vuole vicino alla sua tomba da dove trasmettere per chi verrà a trovarlo telegrammi di sapienza amorosa. Lui che in ogni amore ha fallito. Ho sempre perso. Io perdo sempre, si dice. Come il flacone vuoto della medicina inutile a guarire. Vetro che neppure le lucciole in esso racchiuse nel luglio dal monello nobiliterebbero. Prima dell’estate sarò morto.   

Ripensa a come ieri ha scherzato con se stesso immaginando la sedia nell’armadio. Sedia che ha retto per trenta anni il mio carattere di uomo cattivo in tutta bontà.  Han sempre visto la cattiveria e occultato la bontà. I letterati che ho frequentato, a cui ho scritto, sono come flaconi di vetro con medicine inutili. Sapienza inutile dove mi sono acconciato pur'io fasciandomi con bende di garza inutili. Cosa darei per farle sparire tutte quelle lettere ai letterati di mezzo mondo più inutili di garze impregnate di sangue che gli infermieri gettano nel secchio della spazzatura in ospedale. E quelle che ho scritto d'amore?, e quelle che d'amore ho ricevuto? oh quelle poi, quelle poi... più squallide delle bende che mi fasciano le carni suppurenti che butto via assieme agli scarti del poco cibo masticato. 

Vede una salamandra nell'angolo della camera uscire dalla crepa. Raggiunge la finestra schiusa. Scappa fuori. La vede rientrare e infilarsi ancora nella minuscola frattura dell'intonaco. Si detta un ultimo frammento. Le lettere d'amore dove ci si giura amore per sempre sono come salamadre da una crepa all'altra del muro. Dal dentro al fuori al dentro. Illuse di scaldare la frattura da cui vengono. Perché hanno pelle lambita da qualche sole temporaneo. Ma hanno sangue freddo. Ghiaccio. Sono illusione di calore. 

Inutili. Come il vetro refrattario alle lucciole del monello. Delira Boine e scambia la testiera del letto per un ventaglio agitato da una divinità egizia dal becco che gli percuote il petto tossente.

 

 

II

L’interiorità di Boine devastata dal silenzio tumefatto della tisi che rode - rode o corrode? - un tempo in essa s’accavallavano eventi d’ogni tipo. Vicende non bisognose di bende come ora. Pensa. Vicende tenute assieme da ponti di filosofia e poesia che traversavo con la sicurezza dell’alpino sui crepacci. Senza impacci. Dio mio ancora rime stupide. Morirò e sembrerà una burla. E ho trent'anni.  

 

Ombroso-scontroso, ma allora non roso dalla tisi, e nella durezza-mondo scalpellavo autoritratti adatti altro che gli angoli umidi di questa camera. Esasperato anche da sano. Gli idioti dicevano che vivevo burrasche psichiche, che mi strozzavo da solo la gola, preda di deboleze personali irredimibili. Anche questo mi hanno appioppato sul groppone. Per forza poi i polmoni hanno ceduto. “Non posso occuparmi dei momenti durissimi che vivi!", questo bisturi chi me lo ha spedito come biglietto?, pensa Boine, di recente. Non ricorda chi,! se uomo o donna. Tanto ormai che importanza può avere? Ma è probabile che questo, solito, ci sono allenato come inaffidabile patentato!, starmi vicino da parecchio lontano dipenda dalla mia cattiveria mai vista sotto la campana della bontà anche fanciullesca.

 

 

Giovanni Boine intero nel Male del 10 maggio 1917

cm 30 x 40 su cartone

cds

 

 

III

 Giovanni Boine non poteva che ritrovarsi solo nella malattia. I suoi autoritratti avevano spaventato e turbato chi gli voleva bene  e chi lo aveva amato. Si era premunito di definirsi rospo, lui che era un bell’uomo, mica Tristan Corbière. Rivendicato la sua capacità d’intonare qualcosa di potente come una Nona sinfonia beethoveniana per poi finire a singhiozzi. E la scissione massima del suo io del suo linguaggio dei suoi atteggiamenti che cambiavano come il tempo sul mare in un baleno l’aveva raggiunta definendoli ridicoli!, nei litigi  e insieme terribili.

Chissà le mie lettere quanto confermeranno questa crepa che ho nel petto. Ricovero di lettere-salamandra-sangue ghiaccio! Ben prima della tisi.

Ripensò a una donna amata, della quale i lineamenti non gli comparivano, che aveva posto la sua mano proprio lì sullo sterno. Dicendogli io ti vedrò, Giovanni, sempre intero, ti prenderò eloquente e balbuziente e dunque pure guerriero e mentre non riesci a trattenere il pianto ferito da inezie o dalla paura di restare solo. Questo è il mio amore per te, diverso da tutte le donne che hai conosciuto, ti vedrò sempre intero e così ti prenderò anche quando la tua natura, le tue crudeltà senza sbocco, metteranno a rischio il nostro legame. Nell'intero c'è il bambino e l'uomo, il poeta e chi con i suoi atti la delicatezza della poesia sembra negare. Ma non è così per te. Io lo so. E ti accolgo nel pericolo in cui sei e in cui mi porti. 

Boine da quella volta, dopo quella mano sul petto!, accettò d'essere diseguale, anche nello scrivere e nel filosofare, ma come si chiamva questo angelo come aveva gli occhi la fronte le gote?

Quando lesse che mi sentivo naufrago senza scampo nel risucchio dell’onda – ma in quale libro ho scritto questa banalità dell’affogato che affoga tosssendo tuffato nel flacone di vetro miserabile che pure le lucciole disdegnano? – mi disse che essendo lei un cavalluccio marino bastava le saltassi in groppa e mi avrebbe riportato a galla, ma che non sarebbe potuta rimanere con me, pur salvandomi, perché abitava il fondo marino e io la spiaggia di Porto Maurizio e più in sù gli ulivi. Ma allora come facciamo a stare vicini se tu torni in fondo al mare? Tornerai a me donna con la mano sul mio petto emersa e vicina? L’allucinazione di Boine morente prosegue. Soffrirai tornando da dove sei venuta?, chiede Boine al Cavalluccio Marino. Sì, tanto!, risponde che il mare sarà tutte mie lacrime!, ma tu penserai di soffire più di me, perché sei un poeta infantile a volte nel dolore vero e sei grande poeta nel dolore che fingendo immaginasti di provare. Non capisco risponde Boine. Non importa dice il Cavalluccio Marino, questa si chiama Poesia e non va capita. Nè spiegata. Va vissuta e basta. E tu la vivi. Nel bene e nel male. Comunque tornerò ma come pare a me e lo saprai quando sarà il momento!

Forse la Donna e il Cavalluccio Marino sono le due identità della Morte. Forse è la visita che ho avuto di un Angelo. Forse è quanto avrei voluto vivere in amore e che non ho mai vissuto. Forse...

Boine piange sul cuscino. Le mie lacrime sono come lucciole sbadate nel vetro del flacone vuoto delle medicine  e il mare del Cavalluccio non potrebbe mai entrarci. Come fa con facilità la salamandra delle lettere nella crepa del muro-mio-petto.

 

 


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