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Karoline Knabberchen

:: Karoline Knabberchen: Sofferto tormento tra vocazione e fascinamento. Cura di Accio e Sara Cardellino
28 Dicembre 2020



Karoline Knabberchen sul Lago di Massaciuccoli Puccini - Torre del Lago, dicembre 1980






Karoline Knabberchen

SOFFERTO TORMENTO TRA VOCAZIONE E FASCINAMENTO

Cura di Accio e Sara Cardellino.

 

Karoline Knabberchen (Svizzera Engadina Guarda 10 aprile 1959 - 1984 20 agosto Norvegia Lofoten Austvågøy)  studiava filosofia a Pisa. Alcuni quaderni e dattiloscritti salvatisi dalla distruzione che ne fece la madre Gerda Zweifel, a Guarda, dopo la sua fine tragica, perché lasciati nelle soffitte del cascinale del fidanzato Fabio Nardi (che a Guarda Engadina gli venne distrutto, dalle stesse mani, il lavoro di anni in scrittura in fotografia: stampe negativi materiale) e ritrovati da Sara Cardellino, hanno richiesto una lettura assieme. Ne emerge tutta la forza nella riflessione di questa ventenne che anticipava, in epoca postmoderna, certi seguiti di fine novecento e del web, quanto a smarrimento del soggetto nel reale nel virtuale declinato in parola e immagine. Condizione che artisti e poeti hanno in comune oggi con milioni di soggetti.

Quanto qui, in appunti vergato, è da meditare perche va oltre la faciloneria sincretista di pseudo-religioni mitologiche la semplificazione cristiana cattolica consolatoria le ideologie in cartellone e da banco la vendita di estetiche varie in vetrina e soprattutto oltre al soggetto che spettacolarizza in biografia-autobiografia la propria persona da solo o in coppia. Ciò vale anche per Accio e Cardellino, per Sara e Claudio. Impone riflessioni e scelte a noi due. L'amore, stando a Karoline Knabberchen, è un atto che ha, può averlo, a lato il Tragico. Non è roba per "Baci Perugina-web". Tragico e Commedia riguardano l'Amore. E va saputo interpretare. Karoline lo insegnava a Fabio Nardi. Lo rivelano questi frammenti. Sara Cardellino lo insegna ad Accio. 

Karoline Knabberchen richiama, leggendo questi dieci frammenti ai quali ho imposto un titolo come meglio potevo, al tragico dell’esistenza interpretato teologicamente, contro ogni superficialità enfatica in uso e costume oggi on line e sui social spesso nominata poesia o arte.

Queste pagine pubblicate siano segno di come Accio e la figura musicale che mi posa palmo sulle spalle, custodiscono l’Angelo Svizzero con tutto l’amore possibile tutta l’energia possibile. Nessuno mai più, come accaduto il 9 gennaio 2017, potrà intorbidire atrocemente la sua tomba d’acqua. Intanto sta finendo il 2020.

 


Karoline Knabberchen entra e va nella sua teologia tragica, I - Foto Fabio Nardi, 1980

 


 

1

L’identità del soggetto viene rivelata dalla tecnica postmoderna come impenetrabile in decadenza infinita verso la semplificazione banalmente declamatoria, pure nelle arti: da qui il fallimento delle utopie avanguardistiche. Le più raffinate con destino-vetrina. Meglio se il soggetto si sposta nella merce creata. Il binomio autoreferenziale si manifesta insieme perfettamente razionale e sentimentale: Illuminismo e Romanticismo ricamano l’Io. Le due grandi correnti cosa sono oggi? Forse le pratiche dissennate in barbariche croste dei comunicati terroristici? O il ritorno al “privato” balbettante romanzetti poesiole che dopo il 1977 bolognese imperano in quella che fu la sinistra extraparlamentare e istituzionale editoria? L’individuo odierno recidendo ogni legame col principio spirituale detto Anima subisce come conseguenza di rendere Kaos le proprie azioni.

 

Silenzio colloquio segreto con lo specchio

di Dio nella crepa

(provocata da chi dei due?)

contro il vero che accade.

Quante code concedi a me di te lucertola

Nel fato artefatto d’ogni lama scatto?

Materia della redenzione l’indaco degli occhi tuoi

Riflessa povertà in croce s’appanna.

Se tu volessi la fenditura render cicatrice

Avrei ancora sangue caldo. Sanami Gesù.

 

 

2

Nel Kaos labirintico ove si dibatte si crede all’aperto, questo soggetto, perché ha maturato convinzione che l’esercizio di sé stesso possa avvicinarlo alla Verità a lui adatta dandogli appiglio di Certezza. Quando percepisce lo scacco, probabilmente irrimediabile, ne ricava qualche estetica che non può che essere consolatoria, epperò non entra nel labirinto sdipanando il filo del proprio essere per uscirne realmente. A capo di questo filo, che aggomitola il Tragico, come ebbe a definirlo Kierkegaard, c’è Dio.

 

Primo colore posato sulle cose che vedo

Risveglio della mano tocca geranio

Inanella morbidezza del tirocinio

D’esistere linfa.

Quando m’assento corpo

il dopo preghiera viene prima d’ogni contatto

con quanto inventa Dio per stupirci.

 

 

3

La ricerca della Verità che si necessita a chi vive tale condizione, dunque pur’io e Fabio Nardi, che non siamo affatto migliori di nessuno, sta nel riconoscere lo smacco perenne di abitanti coscienti del labirinto stesso (uso questa immagine mitologica che a suo tempo Calvino e gli scrittori del Nouveau Roman analizzarono in esiti esemplari per le loro poetiche di scrittori) perché non basta starci e il filo simbolico seguire. Lo stiamo facendo da quando ci siamo uniti in amore. S'impone riconoscere interpretare la Colpa che ci riguarda. Che ci presiede. Non basta definire ingenua ogni estetica nell’epoca contemporanea o dispotica ogni concrezione tecnica nel capitalismo fine novecento. Da qui l’instabilità del vissuto. Viviamo in un mondo dove ciascun soggetto s’assolve. In facili perdoni ricevuti in facili perdoni datisi.

 

Danza all’imbrunire scorbutica luce

Sulle valli in fuga – dispongo costato invernale

Alla bufera vista sui Golgota di plastica.

Lividi e rosario stenta mendicità

Nella lettera strappata all’evangelista.

Brutto male il Dio dei filosofi.
 

 

4

Il Tragico che ci riguarda, con la Colpa che ha attorno il nostro personale labirinto, dunque io ho il mio, tu Fabio il tuo, siamo soli nell’impresa di cercarne l’uscita. I fili dei nostri gomitoli non possono intrecciarsi. Né tu aiutarmi. In Anten-Eller di Kiekegaard, ora tradotto in italiano, da Adelphi, e puoi leggerlo anche tu, il filosofo amico danese sposta il Tragico antico nella contemporaneità. Da qui bisogna ripartire. Stare nel mito greco come se non fossimo nel 1980 è una stupidaggine. Se pratica ciò chi sceglie la poesia e le arti finisce nella cartellonistica teatrale enfiata o nel cartone animato buffo pensando di avere la parola di Euripide nella glottide.
 

Il timbro rivelato malvagio sulle carni

Combuste opposte all’amore divino

Si vende a peso d’oro sulle copertine

Dei libri ove urlano fanciullezze e vecchiaie

sinopie per trattati di sociologia.

Bioccolo di neve sia la firma in fuga

Che raggiunge il presepio.

Scioglimi senza sporcarmi.

Puoi farlo?


 


Karoline Knabberchen entra e va nella sua teologia tragica, II - Foto Fabio Nardi, 1980

 

 

5

Il Tragico che possiamo decifrare, quello che in ogni caso ci “prende”, non ha niente di sacro fatale imperscrutabile depositante eroismo nelle gesta nei pensieri: esso si svolge nella cornice di “Orrore da Pienezza” di immagini e cose e molteplici detti e contraddetti. Le luci non sono corrusche bensì quelle dei monitor tv del cinema. Luci basse anche dove si consumano amplessi ed eros ricavato dalle riviste pornografiche. Questo Tragico riguarda ogni esistenza almeno in occidente. Così andiamo all’appuntamento col Destino.

 

Dove venni spenta carbone senza focolare

Arde l’eternità intravista in una parabola del Vangelo

(ma non ricordo quale)

Mentre la barchetta che vi ricavai

(ma non ricordo l’imbarco)

Scivola placida verso la colpa a me ignota.

Del naufragio.

Se m’accendo ancora nella Grazia brucio quanto mi regge

Annego mentre prego.

Padre ti diverte questa novelletta?

Mi sorridi?

O sei adirato dalla mia stupidità?


 

6

In questo rivelato Tragico contemporaneo, due facce della stessa medaglia: l’apatia indifferente e lo scomposto protagonismo dei residui gruppi intellettuali ed estetici. Smarriti a pari. Personalmente temo che giunti fin qui il Dolore la Colpa anche se cercata che mi sovrasta non interessi più Dio. Che, io Karoline, fatichi soffra rida muoia risorga per nulla. Della mia colpa che cerco di quella che la maggioranza oblia a Dio non interessa non importa più. La chiacchiera, la doxa, come l’interpretazione filosofica finissima, sono per disprezzo messi a pari da Dio. Così Dio omologherebbe il suo fallimento come creatore. Poi esco da questa rassegnazione terribile. Ancora spero. Snocciolo i peccati che commisi e mi consegno nuda anima su qualche altare di sassi di lordure perché la mia sorte stia nel labirinto sotto gli occhi, nauseati dal genere umano, di Dio. Salva me perdona ogni facondo vizio. L’artifizio della mia personalità tutto l’ho smontato perché tu lo ricomponga nell’eterno varcata la morte che bramo e rifuggo per amore di un uomo che sta nel labirinto accanto al mio che a volte ride di sé stesso come nessun altro compie. Ogni rappresentazione anche la più artistica è inadeguata senza la fede che contempla di essere lasciati nudi non accolti senza destino nel Creatore.

 

Il battito ali d’insetto nel tepore della notte.

Mi spaventa. Come me adatta al giorno si ritrova al buio.

Se lampadina s’accendesse si brucia. Mi brucio.

Morirei fuori posto. Muore fuori posto?

Accendo l’abat-jour. Catturo il fremito.

La poso sul vetro. Sulla schiusa anta.

Tra poche ore l’alba.

Vediamo chi si salva prima.
 

 

7

Il trait d’union tra la Verità dell’essere e lo spazio dove esercitarla pensiamolo come ponte dondolante che nello spavento nel su-e-giù ci riveli come nostra anima necessiti affidabilità inconsumabilità perennità dei legami. Quest’ultimi non è sicuro portino a risoluzioni di felicità, anzi, la mala sorte è sempre in agguato precipizio singhiozzo, però quanto non si consuma... con Dio è questione dominante. Impararlo già sulla terra avvantaggia nella salvezza. Sei disposta a morire perché quanto ami non si consumi? Sì!, rispondo. Sì!!
 

Barcaiola mai venderò le vele

Seppure il vento abbandonasse il fiume.

Lo stesso raggiungerò la foce

Col legno del Golgota a sorreggermi.

Pensavi non avessi inteso il sangue di me pesce sui remi?


 

8

Accettare la dimensione del Tragico oggi fine novecento rende simili a forme di cristianesimo arcaico: perché impossibile vivere ancora la gravità passionale e radicale di Kierkegaard o l’irreligiosità epocale di Nietzsche. Il soggetto vive l’identità artificiosa contenente forze in grado di sbriciolarla. Identità forgiata dalla tecnica, perché sorprendersi? Affinché l’identità possa sottrarsi alla precarietà - l’uomo è un prodotto che viene creato dal niente e al nulla lo riaffida a proprio scelta anche illogica morbosa stupida atea - questo essere non deve avere casa nel ventre del nulla.

 

Dilaga l’inverno a questa latitudine

Sembrano scogli ingannevoli i colli

Nell’acquivento luminosi rossi fino alla neve.

Se il sangue nel simbolo inventa i propri chiodi

Questo racconto vede la mia fine nel tragico.

 

Ogni individuo nella contemporaneità scuote questa febbre che gli fa intuire la sua condizione. Non necessita di lauree e studi per sentire il nocciolo d’artificio che gli secca l’anima spirituale. Consegnandolo manipolabile alla civiltà d’automatismi. Compresa quella di musei gallerie editorie. Il più alto sapere come le più semplici opinioni sono maniponabili. Pertanto marginali per qualsiasi salvezza agli occhi di Dio.

Tutta la sociologia la psicologia la letterarietà di questo mondo hanno allontanato il soggetto nei miti della aureferenzialità compresa la teologia da accademia. La verità s’è ficcata nelle crepe delle mura indifferenti e platealmente esposte in estetiche foderate di dollari e scimunite nelle bave che colano nelle edicole nei media popolari. Nella crepa io lucertola ci entro. Quando queste mura crolleranno inutili per troppo pieno di parole e immagini soltanto nel vuoto di pochi centimetri di vita rispetto all’eternità starò salva.



 


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