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:: In questi giorni ho ritrovato una copia dei Canti Orfici
07 Dicembre 2012

 
 
 
IN QUESTI GIORNI HO RITROVATO UNA COPIA DEI CANTI ORFICI
 
di Massimiliano Bardotti

 

In questi giorni ho ritrovato una copia dei Canti Orfici che credevo di avere perduto. E’ stato un ritrovamento plateale, come se fosse sempre stata lì, sotto il mio sguardo. Come se fossi stato io a non volerla vedere. Ho preso il libro fra le mani, l’ho aperto, ho fatto scorrere le pagine fra le mie dita. L’ho annusato.
Quando penso a Dino Campana penso alla fede. La stessa che da Marradi lo condusse fino a Firenze per consegnare l’unica copia del suo manoscritto.
Il più lungo giorno.
Quella copia andò perduta.
Nascono così i Canti. Da una riscrittura dolorosa. Da un tormento di per sé perfetto, viziato dalla viltà degli uomini.
 
Ciò che la natura ha lasciato imperfetto lo compie l’arte, e l’arte passa attraverso l’uomo, anch’esso imperfetto. Il prezzo da pagare è sempre altissimo.
Certi poeti e scrittori, sono Miracoli.
 
 
Miracoli.
 
 
La prima è stata Emily Dickinson. Ha dovuto ritirarsi in solitudine perché la vita tende a soffocare.
Avevo quindici anni la prima volta che ho letto le sue poesie. Mi sono innamorato perdutamente, ci si innamora così a quindici anni e molto più. Ho fatto a pugni con dio più di una volta per averla con me. Ma lui è un dio geloso. Volevo stringerla almeno una volta. Volevo ringraziarla. Che l’amore me l’ha regalato senza nulla pretendere.
Per anni non ho voluto leggere nessun altro. Avevo paura.
Incontrai Campana una sera d’estate. Mi portò nella notte e nei canti di prigione e sulla via per Marradi. Ho trascorso del tempo in sua compagnia e anche adesso mi trovo bene con lui.
Carnevali è stato l’uragano che ha travolto la mia giovinezza. Il Primo Dio. Divorato nelle notti maestose che avevano in ventre animali curiosi. Carnevali morto di fame nelle cucine d’America, non potrò mai più dimenticarlo.
E poi la Pazza della Porta Accanto alla quale ho chiesto lo zucchero per un caffè troppo amaro. E Raymond Carver e la sua Cattedrale dove andavo a pregare un dio sordo alle povertà umane. E’ lì che ho incontrato Céline, cuore lacerato da ogni strazio conosciuto e immaginato. I suoi occhi hanno visto la vita davanti e dietro.
Mi ha fatto bene leggerlo. Mi ha fatto male leggerlo.
Ora non so più dove guardare, tutto mi pare uno scempio. E pensare che la bellezza è saltata fuori da ogni pagina.
Bukowski mi aveva avvertito tanti anni fa.
E’ che la vita a volte inganna, Sirena sinuosa.
Adoro le Sirene, mi piacciono le voci misteriose che svelano la debolezza degli uomini. Ma aveva ragione Hank, non c’è pace qui. Non c’è giustizia. Eppure anche lui ha nutrito la terra con germogli di meraviglia.
Céline ha esagerato però. Ha gettato lo sguardo oltre e corrotto la voce di ogni Sirena.
Il Libro dell’Inquietudine non ha aiutato. C’ero anch’io là dentro e c’eri anche tu. C’eravamo tutti temo.
Ora il mondo mi appare per quello che è e non so più se voglio starci. Mi vergogno degli esseri umani. Mi vergogno per gli esseri umani. E se prima avevo paura ora sono terrorizzato.
Ieri notte poi ho incontrato Romain Gary. Indossava ancora la vestaglia rossa. Mi ha parlato di Momò e Madame Rosa. Aveva un buco di pistola dal quale s’intravedeva l’infinito. Mi ha commosso la sua tenerezza e la grazia di ogni parola. Mi è presa una strana voglia di non dormire mai più.
Allora ho letto La Versione di Barney. dio se ho riso. Ho riso tanto, e temuto di non poter sopportare tanta onestà. Ma la morte ha continuato a vincere sulla vita.
La Malattia.
La penso esattamente uguale a Barney: la vita è assurda e nessuno di noi, in pratica, capisce gli altri.
Ci voglio provare lo stesso
avorio le mie convinzioni.
Stringere ruvide mani grinzose
strusciarle sul volto al risveglio.
Perdere i sensi nelle regioni inferiori.
Bambina speranza
passo felpato
neve ghiacciata
scendere a piedi la montagna
giungere in stazione
per intere settimane
a guardare i treni partire.
Starsene lì
null’altro da fare.
In fondo la vita è senz’altro anche questo.
Incontrarsi ogni giorno
la solita strada
medesima ora.
Da trent’anni ogni giorno.
Incontrarsi.
Senza dirsi parola.
Scambiare uno sguardo.
Pindarico volo.
Imbarazzo.
Bacio.
Sorriso.
Sposarsi a quel momento.
Trent’anni di addii
per poi ritrovarsi il giorno dopo.
 
Triste dimora l’assenza di fede
non ci voglio abitare.


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