Karoline Knabberchen (1959-1984) sulle colline pisane
Karoline Knabberchen e Fabio Nardi
101 RAGIONAMENTI PER RIFUGI RUPESTRI
La ghirlanda infuocata dei tuoi pensieri, dolce guerriera, stride e garrisce alta nel cielo d'ottobre. Vuoi scomunicarmi, infrangere la mia fede – fede semplice da figlio di camionista – sulle vette taglienti della tua filosofia. E dai poveri lacerti di balbettata cristianità ricavare l'uscio incerto del tuo rifugio, prepararti un buio men buio per l'inverno d'Engadina. Al gioco tuo, gelato refolo al limite della crudeltà – ai tuoi Cento e uno ragionamenti squillanti apocalissi sull'onda del filosofo Alain tra le preghiere serali – risponderò con altrettanti divertissements alla Pascal, letti i quali dovrai o confessar la tua fede, o ammettere la tua follia. Mi giudichi crudele? Scorgo già la prima lacrima d'insinuata mestizia solcare il pallore della guancia; la seconda, sgorgata rabbia, inseguirà la prima, e a metà percorso la vedrai evaporare sul porporino incanto della febbre incipiente. Ah! Non sei proprio a tuo agio se s'accenna alla psicologia trasformata in magia nel paiolo della filosofia che ti rosola nel reale, e senz'ale tenta l'involata da ogni mia bravata. Perché tu non puoi – lo sai – da me divorziar senza scottarti. Anche gli amanti son legati da vincolo di sangue: solo con la morte da me ti potrai separare. Vuoi forse provare?
Karoline Knabberchen (1959-1984) sulle colline pisane
1. Il pensiero, caro il mio psicologo da balera, non si produce per mezzo delle sensazioni: se così fosse, tu ed io porteremmo il seme della sciagura nella predestinazione dell'incontro. A te non pare che osservandomi a lungo, come se nulla esistesse in relazione al mio essere, riusciresti a galleggiare nel più grande, nell'assoluto pensiero che precede l'esperienza?
Se dal tuo assoluto emanante non sortisse fuori il mio Dio cristianeggiante, io ti caccerei di casa in un'istante, bella engadinese quasi-protestante.
2. Mi chiedi d'esser più coscienziosa – che poi è il rovescio della tua paura – ma dovresti sperimentare su te stesso la coscienza dell'azione. Dunque, Fabio, cadi un po' in contraddizione. Alzati in volo ed osserva che l'incontro, tra te e me, può avvenire solamente alle altezze del silenzio, dentro il pensiero di noi.
La coscienza della sposa è quella d'aspettare suo marito al desinare. Se ti garba di sgalluzzare, tra la Facoltà di Filosofia e Vecchiano mare, con me non potrai che litigare: la tua coscienza senza Dio – ma tu dici che la tua divinità vola più in alto della mia – si basa su questa astrazione del noi corpo spirito e sangue. Ma per me, che son teologo oltre che psicologo da balera, il belato dell'Agnello è ben concreto latrato nel male del mondo. Comprendi l'allegoria a tutto tondo?
3. Se ti piace chiamarmi “incosciente!” quando m'allontano dalla prigionia del tuo pungolo, vorrei richiamassi l'attenzione su di un fatto: l'incoscienza è propria del corpo, e tu sai che il mio corpo è appena fiato. Quinda bada bene a farmi derivare dalla carne dei tuoi ragionamenti. La mia coscienza è desta, imprigionata nei simboli del sacro.
Ti divincoli, Ranocchietta, dentro le contraddizioni della Fede. Alle mie latitudini è assai più semplice esser religiosi. L'errore ha un suo intrinseco valore: pure il mio pungolo piaceva e piace (fidati, che così è), sfilata la veste domenicale, quando il chierichetto andava ad alzare qualche gonnella, rincorrendo la tentazione del peccato bella!