Karoline Knabberchen
VELAZQUEZ S'IMPASTA NEL COLORE DI MOZART
(a cura di Claudio Di Scalzo)
"mi piace alla follia/tutto ciò dove il suono si mescola alla luce"
(et j'aime à la fureur/les choses où le son se mêle à la lumière)
Les bijoux, Baudelaire
Questi versi mi son venuti in mente quando oggi mi sono imbattuta nella stampa di un particolare de “Il trionfo di Bacco” di Velazquez. L’immagine ingrandita è quella dell’ubriaco col cappello che guarda dritto verso lo spettatore. L’ho comprata nel mercatino di Utrillo - lo battezzasti così per far colpo su di me la prima volta, come se non sapessi che Utrillo se ne fregava delle riproduzioni e degli originali del barocco spagnolo! - quello settimanale ai piedi di Montmartre: stampe, fumetti, libri usati, riviste d'arte dove andiamo quando ti degni di raggiungermi.
I colori densi, stesi a pennellate importanti, in questa stampa si scorgono benissimo.
Il dipinto che so esposto al Prado non attirò la mia attenzione quando vi capitai e certo mi piacerebbe tornarci a vederlo, con te, dopo questo incontro di carta.
Già ti sento ronzarmi nelle orecchie ‘Ranocchietta, ma che c’entra il suono qui? che t’ha richiamato alla mente Baudelaire?’. Ebbene mio caro, ti rispondo subito: in questo quadro Velazquez abbandona i colori più terrosi e crea il suo segno. Vedi dunque la luce come danza in questa strana arcadia naturalistica?
Tanto da sentire il suono fragoroso delle risate tra gli inciampi linguistici de “los borrachos”- gli ubriaconi-. Il viso ingrandito, di cui voglio farti dono appena sarai qui, ha poi tutta una sua sinfonia luminosa: un dente è creato da un’unica densa pennellata di bianco. Come un archetto che senza staccarsi del violino ricavi una sfumatura indefinita di note, eppure l’orecchio ne percepisce perfettamente ritmo e misura. E armonia d’equilibri.
Ricordo un altro particolare d’un suo quadro (ahimè non ricordo più quale, né dove lo vidi): un calice di vetro, dove la trasparenza era creata dall’opacità del colore! E lì pure, densa materia bianca animava la limpidezza di gocce d’acqua sulla superficie.
Questo crear rarefazione partendo dall’impasto e dalla corposità mi colpisce l’occhio, così come la sinfonia mozartiana n. 41 in Do maggiore K 551, la “Jupiter” per intenderci, fa con il mio orecchio. Anche lì la materia divina si dipana e risolve partendo da un attacco deciso come una sferza.
Pare a me, pure noi nostro malgrado siamo parte di questo percorso di espansione. Ogni abbraccio che è stretta dilata il respiro, fino al bacio dove ancora s’addensa corpo per poi fremere in petto.
Nella luce inconsistente della stanza, quest’estate, girandoti insonne nella notte tra le lenzuola mi vedesti addormentata e così poi la mattina mi dicesti: "La mia mano calda sul tuo pube giaceva immobile nel primo dormiveglia. Ogni tanto qualche carezza più profonda irrigidiva i tuoi capezzoli, punte di spilli che conficcavo sulla lingua, e rigiravo piano tra piccoli gemiti." Abbiamo trasformato luce in suono. E spirito dormiente in tessuto animato. E poi tutto s’è fatto suo contrario. Se ami nel sublime, questo accade. Amore è quello che muoveva la mano di Mozart e quella di Velazquez.
Ebbene sì, ti sto dicendo che facciamo arte, quando facciamo l'amore. Ti sorprende?
Non credo, ma so che ti piacerebbe mostrarti a me ora con una faccia stupita, occhio semichiuso e perplesso.. per dispetto!
Fabio caro, ti saluto da un Parigi intirizzita. Ma stasera uscirò, le strade innevate sono comunque in festa, come si addice al carattere di questa città. Tua Karoline