BELMONTE CALABRO 1944
Qualcuno abbia pietà dei miei segreti
Li conti sul mio corpo come piaghe
Rasciughi le ciglia di ognuno
ove luccica ancora una preghiera
Su chini su me
stenda la mano
mi doni ombra
Solo in questa eternità
senza patria
senza famiglia
mi stringo i polsi fra le mani
e provo ancora il piacere
di un gesto inutile
MALGRATE
Tu sei lontana più dell’orizzonte,
ma qui su questa strada io ti sento
nell’alito dell’aria respirare,
ti inseguo sui binari nel fragore
di ruote che ti portano
un mio invisibile saluto.
È saturo di te questo colore
ancora tiepido che vibra
il tramonto dei suoni e delle voci...
Forse è già sera dietro le mie spalle
(la troverò improvvisa sul ritorno
coi primi lumi che annunziano Lecco),
forse già è calata sulla valle
un’altr’ora di tutti e di nessuno...
Ma tu vivi nel fondo del mio sguardo
che si strozza nel giro di una curva,
nell’ansia di forzare la barriera
che mi vieta altro asfalto.
Oh carpire un tuo segno laggiù
dove più alto
si fa il muro di sogni
dietro il quale tu ignori.
PIAZZA SAN MARCO
Al tuono della banda
improvvisa è scoppiata
la rosa dei colombi
PONTE SULL’ADDA
Dura ancora il colloquio sopra il ponte
con la ghiaia ai tuoi piedi che sorride.
Dura ancora, e il murmure dell’acqua
mi ricama paziente la tua voce.
Sei scomparsa così, come un mattino
trepido di presaghe e pure luci,
seguito da una sera tremolante
al di là di una lacrima infinita.
La spalletta li intese i giuramenti
fatti vani dall’ombre della sera
che ora ti contende al mio richiamo:
forse qui si posava la tua mano,
dove or premo lievemente la mia
che mi ritorna il freddo dell’acciaio.
TORRI DI FRAELE
Qui dove il lago finge la montagna
bisbiglia il rododendro che s’arrossa,
fende la trota a colpi fra le nubi
il varco che l’annotta.
Nei pini cresce l’ombra che l’infolta,
dopo un tonfo il carrello già scompare,
ronzano i cavi al salto, dietro al nulla:
dunque tutto sta qui, nell’aspettare?
VILLA REGINA
Quel punto lontano
che scivola sopra la neve
che sta per sparire
all’ultima svolta
del viottolo
sei ancora tu
a cui ho teso la mano
e ho detto addio
pregandolo che non si voltasse
(anche così i tuoi capelli
che ondulano molli il tuo passo
sono il tuo volto
che non voglio vedere,
perché non potrei sopportare
il tuo sguardo d’addio).
Ti ho detto anche
che non voglio incontrarti mai più.
Ora vorrei gridarti di tornare.
Ma sei troppo lontana ormai
ed io non ho la forza del tuo cane
che latra gioioso dalla villa
la tua vicinanza.
Non mi resta che andare,
staccarmi da qui
con un’altra pena sul cuore;
per sempre sulla tua strada
ma in direzione contraria
per non trovarci mai più.
Ma tu non sei un punto laggiù,
ancora un punto che va.
Perciò non ti posso lasciare,
punto lontano che vai
portandoti dietro
la mia felicità.
SERA DI PRATO VENOSTA
La lucertola scatta nel barbaglio;
già tramonta col vento la campagna
che si smorza sul pallido infinito.
Nel buio fischierà l’ultimo treno:
lo attendo stasera sul viale
che perde l’ombra e s’incupisce
(anche me il vento cancella,
sola ombra più cupa).
Sera di Prato: pausa di pace
vicino ad un bicchiere di lampone;
due uova friggono in cucina per me;
di sopra, il letto ha un guanciale di piume
(se vi affondo la mano essa scompare
nel tepore di un nido), bianche lenzuola;
e la pergola inquadra fuor dei vetri
il silenzio dei grilli. (Se mi sporgo
odo voci salire nella sera,
voci serene tra il fogliame).
La mia casa è di là, oltre
il confine di nevi: la vede
l’aquila che non ha frontiere;
forse la penna sul cappello
la vide un giorno. Ogni ricordo
qui rinasce riflesso nel domani.
Sera di Prato che non ha ore
per la memoria. Si è pronti
a un difficile domani,
si pensa a un nome, ed anche
la tristezza è più lieta,
e si calma l’arsura del tabacco
col frizzo del lampone:
ancora un poco,
anche se è tardi,
anche se ormai la tua voce dondola nel sonno,
ancora un poco di te,
sera improvvisata.
TRAMONTO DELL’ESTATE
Ma tutto è ancora tuo:
la caligine di fine estate
che piomba sull’orizzonte,
la folgore sul pino,
l’estremo mulinello
che bioccoso dipana il tuo camino
ch’è ormai spento,
lo squillo che s’è chiuso in un lamento
su chi è tornato a chiedere di te
alla tua porta,
la sferza delle lacrime frustranti
la casa bianca a metà colle
che svanisce
come il ricordo nella sera.
Di te forse mi rimane
questo fruscio d’acqua nelle foglie,
il veloce ticchettio sulle ardesie dei tetti,
e la pioggia che batte
come una preghiera
nel buio della tua finestra
che le tende abbassate.
DEDICA
Il tuo passo è qui, orma lieve
che si ripercuote nel ricordo.
Oggi conforta il mio silenzio
con una povera sigaretta
e qualche raro guizzo che mia ssale
di una voce lontana.
Una vecchia voce che trasale
sbigottita
se ad istanti riemerge dalla cenere.
È dolce confidarsi qualcosa
oggi che non si ha più nulla,
che si è soli fra i soli.
Confidarsi un amore perduto,
un tenue filo
di cui un capo forse
mi volevi affidare:
questo mi dicono i tuoi passo dispersi
quando battono lievi ancora
(la mano corre e fruga
una povera sigaretta,
l’ultima per sognare).
Poche cose bastano ora
alla mia tristezza:
la nonna che muore ogni giorno
(sul messaggio
mancava la sua firma),
una ragazza che forse
si chiamava Valeria;
cose brusche come la folgore,
si impennano improvvise,
vengono non chiamate.
Tu invece sei quando
si consuma la sigaretta
un ricordo che non si consuma
un’abitudine nuova
tutto il mondo di allora
le mie cravatte
i miei libri,
ora che non ho nulla
fuori che freddo e fame
o quando la vecchia voce
si umilia
e ritorna a inghiottirsi
nella cenere.