Home Page Olandese Volante
Home page Site map
::

TranSTORM

:: Theodor Storm: Immensee/Claudio Di Scalzo: Erica nera
15 Settembre 2013

 CDS: "Rametto d'erica annerito sulla fronte" - 15.IX.2013
 
 
THEODOR STORM
da IMMENSEE



Theodor Storm
 



MIA MADRE HA VOLUTO…
(…) I boschi tacevano e la loro scura ombra si rifletteva lontana, sul lago, mentre la luce lunare spargeva in mezzo ad esso, un opaco chiarore. Di tanto in tanto, un mormorio passava, come un brivido fra gli alberi; non era il vento, era soltanto il respiro della notte d’estate. Reinhard camminava ancora lungo la riva. A un tiro di sasso dalla sponda scorse una bianca ninfea. Lo prese d’un tratto il desiderio di guardarla da vicino. Si liberò dei suoi abiti ed entrò nell’acqua. Il fondo era piatto, pietre e piante taglienti lo ferivano ai piedi, non trovava il punto giusto per poter nuotare. Poi, improvvisamente, si fece il vuoto sotto di lui, le acque si chiusero gorgogliando sul suo capo e ci volle un po’ di tempo prima che egli tornasse alla superficie. Muovendo le braccia e le gambe, nuotò in circolo, finché ritrovò il punto dal quale era entrato in acqua. Vide di nuovo la ninfea: ella stava solitaria, tra le grandi foglie lucenti. Nuotò lentamente al largo, alzando ogni tanto le braccia, cosicché le gocce che ne ricadevano brillavano nei raggi della luna, ma gli sembrava che la distanza tra sé e la ninfea non diminuisse mai. Soltanto la sponda gli appariva, quando si voltava, sempre più indistinta. Non rinunciò tuttavia alla sua impresa e nuotò con lena nella stessa direzione. Finalmente giunse tanto vicino al fiore da poterne distinguere con precisione le foglie al lume di luna, ma nello stesso tempo si sentì come impigliato in una rete: lisci gambi, che salivano dal fondo, si attorcigliavano intorno alle sue gambe nude. L’acqua che lo circondava era cupa ed estranea; sentì alle sue spalle il salto di un pesce; si trovò a disagio nell’elemento sconosciuto. Con forza si strappò alla morsa delle piante e raggiunse affannosamente la riva. Quando si volse a guardare il lago, la ninfea spiccava, bianca e solitaria, sullo sfondo oscuro. Si rivestì e torno lentamente verso casa.
 
 
ELISABETH
Al pomeriggio seguente, Reinhard ed Elisabeth andarono a passeggiare dall’altra parte del lago, ora fra boschi, ora sull’alta riva sporgente. Elisabeth aveva ricevuto da Erich l’incarico di far conoscere a Reinhard, durante l’assenza sua e della madre, i più bei panorami dei dintorni. Vagarono così da un luogo all’altro. Elisabeth, infine, accusò un po’ di stanchezza e si sedette all’ombra di rami spioventi. Reinhard le stava di fronte, appoggiato ad un tronco d’albero. Sentì, più lontano, nel bosco, il richiamo del cuculo e gli parve improvvisamente che tutto quello fosse già accaduto una volta. La guardò sorridendo stranamente:
 
“Cerchiamo le fragole?”
“Non è tempo da fragole”
"Lo sarà tra poco”
 
Elisabeth scosse muta la testa; poi si alzò ed ambedue ripresero il loro cammino. Lo sguardo di lui, camminandole così a fianco, si volgeva incessantemente verso di lei; camminava bene, come se i suoi vestiti la portassero. Spesso gli rimaneva indietro di qualche passo, per poter abbracciare, con uno sguardo tutta la figura di lei.
Giunserò così ad una libera radura coperta d’erica, dalla quale si godeva un’ampia vista sulla campagna circostante. Reinhard si chinò e raccolse una delle erbe che ricoprivano il terreno. Quando si rialzò, il suo volto aveva un’espressione di appassionato dolore. “Conosci questo fiore?”, chiese egli.
Elisabeth lo guardò, con negli occhi una muta domanda: “E’ un’erica; l’ho raccolta spesso nel bosco”, rispose.
“Ho a casa un vecchio libro; una volta solevo scrivervi dei versi; non accade più da molto tempo. Tra le sue pagine v’è anche un’erica; ma è solo un’appassita erica. Sai chi me l’ha data?”, chiese Reinhard.
Ella fece un tacito cenno del capo ed abbassò lo sguardo, fissando soltanto il rametto, che egli teneva in mano. Così stettero a lungo. Quando ella levò gli occhi verso di lui, egli vide che erano pieni di lacrime.
“Elisabeth, là, dietro quei monti azzurri, giace la nostra giovinezza. Dov’è?”
Non parlarono più. Scesero silenziosi, l’uno accanto all’altro, giù, verso il lago. L’aria era afosa, da occidente salivano scure nubi.
“Ci sarà un temporale”, disse Elisabeth affrettando il passo.
Reinhard assentì, in silenzio, ed insieme costeggiarono veloci la riva, fino a raggiungere il loro barchetto.
Durante la traversata, Elisabeth posò la sua mano sul bordo della barca.
Remando, egli la osservava, ma ella, sfuggendolo, guardava in lontananza. Così lo sguardo di Reinhard scese lungo la sua persona e si fermò sulla mano di lei, e quella mano pallida gli rivelò ciò che il volto di lei aveva taciuto. Vi notò quell’espressione di acuto, segreto dolore che volentieri s’impossessa delle belle mani di una donna, che riposano, di notte, su di un cuore malato. Quando Elisabeth sentì lo sguardo di lui indugiare sulla sua mano, la lasciò scivolare lentamente nell’acqua.
 
(…)
 
Ma fuori, in giardino, cinguettavano già i passeri, annunziando a tutti che la notte era finita. Udì allora, su in casa, aprirsi una porta: qualcuno scese la scala: quando alzò gli occhi, Elisabeth stava davanti a lui. Ella posò una mano sul suo braccio. Muovendo le labbra, ma egli non udì una parola. “Tu non torni più - disse infine - lo so, non mentire, mai più”.
“Mai più”, rispose Reinhard. Elisabeth lasciò ricadere la mano e non disse più nulla. Egli attraversò l’ingresso, dirigendosi verso la porta; poi si volse ancora una volta: ella era rimasta immobile, allo stesso posto, e lo guardava con occhi spenti. Avanzò di un passo verso di lei e le tese le braccia. Poi indietreggiò bruscamente ed uscì. Fuori il mondo riposava nella fresca luce del mattino; le gocce di rugiada, simili a perle, appese nelle ragnatele, brillavano ai primi raggi del sole. Reinhard non si voltò indietro; e man mano che s’allontanava veloce, la silenziosa fattoria spariva alle sue spalle e davanti a lui scorgeva il grande, vasto mondo.
 
 
 
 




 

 
 
L’ERICA SULLA FRONTE DI STORM
(ninfea bianca erica nera)
 
Conosci questo fiore? È un’erica
Ma le due soggettività romantiche separate - Elisabeth ha sposato un uomo non amato convinta dalla madre dopo che Reinhard per anni non ha dato notizia di sé - sono spessore d'una memoria che rende fluida la consapevolezza che nessuna illusione è più possibile, come avvicinarsi alla ninfea nello stagno nuotando impigliato tra i gambi e trascinato in basso nell’acqua scura - nell’occhio altrui il passato è marmorizzato nelle vette - il ricordo vale da arazzo nel suo rovescio: nodi e patologia della memoria erica annerita.
La memoria dell’erica valica la forza psichica dei protagonisti, per un attimo ripropone l’antico incanto giovanile adolescenziale, ma la circolarità amore-adolescenza/amore-maturità è reciso: riaffiora in modo archetipico come ninfea nello stagno però è inarrivabile. Si rischia l’annegamento, la cancellazione di ogni epifania d’immagine e senso.
Il rimosso rimane a Elisabeth sposa infelice nell’istituzione rigida del matrimonio solidificata sulla rendita in ascesa d’una fervida borghesia campagnola e a Reinhard - si allontana e per sempre da Immensee - resta il camuffamento nell’infelicità del viaggio; esso gli si rivelerà - nel suo frammentismo di biografia in scacco - una volta vecchio fissante la fotografia di Elisabeth sfiorata da un ultimo raggio del giorno. Ora la ninfea la potrà avvicinare. Ma soltanto così. Il bianco d’una veste di donna amata che sulla terra non c’è più.
Il “mai più” pronunciato in chiusura di Immensee sta anche nella poesia di Apollinaire, “L’Adieu” e in una lettera di Campana a Sibilla Aleramo e sul becco del Corvo di Poe. Il fantasmatico never more vale come marchio – nella latenza caotica della vita affidata alla letteratura - d’ogni cifratura amorosa vocata al carbone sulla terra. Con la speranza che appaia in chiusura d’ogni storia del bianco. La pura visualità oltre la violenta irrelatezza di quanto fu quotidiano e perdita.
Quanto è sfiorato è soltanto spoglia - mano nell'acqua - o spettro, si ritorna al bene della deformazione malinconica - partendo all’alba, pagina bianca casomai da scrivere - ma essa è ora soltanto narrazione prima del pomeriggio poi sera e poi buio nel rito detto esperienza nel mondo reso inospite senza amore. Ad Elisabeth il marito non amato, fratello quasi a cui deve riconoscenza per averla affrancata dalla sua vita in attesa di Reinhard in viaggio, le mura pagina chiusa, a Reinhard il mondo ancora come viaggio, ellisse, pagina aperta sempre bianca inavvicinabile, non raccontabile, da sfiorare, ninfea nella liquida increspatura dei giorni uguali. Tutti. Mano che non ha presa nel liquido giorno somma di tutti gli sfuggenti giorni  a venire.
Tu non torni più…
Mai più
Si dicono Reinhard che esce di casa e Elisabeth ai piedi della scala, nell’alba, nel cinguettio dei passeri, che assorda e presiede al non racconto che verrà.
Reinhard torna da anziano - l’ultimo capitolo breve della novella breve - questo narra anche all’autore Theodor Storm vecchio nel 1880 roso dal cancro - davanti alla foto il corpo nella foto la scala, gli scalini son stati tutti scesi, le porte tutte varcate, il centro dell’ultimo dialogo tra l’uomo Reinhard e l’immagine in fotografia di Elisabeth è la vertigine rassegnata - centro della giovinezza ruotante nella vecchiaia - essa si modula centripeta (i due innamorati stan abbracciati finalmente?) verso il rametto d’erica. Esso adesso -  proviamo a immaginarlo, io lo disegno anche - si posa sulla fronte di Storm anziano, non su quella al riparo quieta di Reinhard nella novella, qui fiorisce per subito abbrustolirsi nero. Il sistema dell’immaginario diventò, diventa ruga di fiore fossile. Vive meglio Reinhard vecchio che Storm vecchio. Uno in una novella. Immensee, apparsa nel 1849, l’altro in un mondo ridotto a proiezione dei libri che scrisse, psiconovelle per dire infelicità che la ninfea solitaria dà infelicità nel vasto mondo allo scrittore-nuotatore che gira a tondo.
 
Claudio Di Scalzo
15.IX.2013
 


Scrivere ancora del "mai più" mi è costato molto in questo settembre.
Altri raccordi con il "Rametto d'erica" nel saggio scritto negli Ottanta
e pubblicato sull'annuario Tellus 27: "Dalla Torre Pendente alle Alpi", 2007.
 
 
 


Commenti COMMENTI


Documenti Correlati DOCUMENTI CORRELATI