
Giovanni Boine con il Bambino sulla sedia
Pasqua 2017
OTTETTO DEL BAMBINO SULLA SEDIA CON BOINE
(da leggere nella mia camera a Vecchiano:
nella Pasqua 2017
e il 16 maggio 2017
centenario della morte di Giovanni Boine)
1
Il Bambino sulla sedia nomina
nel mattino le spine del Cristo
dove lui rondinotto tiene nido.
Non usa parole ma i colori dell’Eterno.
È un poeta trapiantato nel dolore
lì fiorisce senza che nessuno sappia di lui.
2
Il Bambino sulla sedia muore
a volte nel sepolcro di parole udite
che lo feriscono, lo umiliano, lo prendono in giro.
Cerca una riva per salvarsi
la trova nelle labbra del Cristo
che nell’agonia cerca il Padre.
3
Il Bambino sulla sedia conosce il Fantasma (o Demonio ?) dell’Amore verso di lui;
lo nutre in sé suono d’irradiazione, lo vede sparire in oscura notte
che subisce senza sapere il perché.
Il giorno dopo la sua voce
sarà quella d’un uccelletto strozzato
dal filo del crudele cacciatore.
4
Il Bambino sulla sedia vive la memoria dei giorni non ancora vissuti nell’amore per la donna non ancora incontrata.
Ode le parole non ancora pronunciate d’amore verso di lui, le vede, spaventato, cambiare pelle come serpenti; mutare di significato in una nudità incomprensibile che scintilla come chiodi:
acciaio, punta, in cerca della sua carne.
Capisce che questa è la poesia a lui destinata se si innamora.
E che dovrà scrivere perdendo l’amore.
5
Il Bambino sulla sedia si guarda attorno
vede il caos dove tutto cambia di continuo.
Parole cose gesti vite.
La sua esclusione, l’umiliazione,
la derisione viene da quel gorgo.
Cristo muore per attraversarlo.
Se giunge fino a me, se mi vede
non avrò vissuto invano nel dolore,
e potrò salvare le parole
con cui scrissi dell’amore
che avrei voluto vivere da grande.
Vieni, o Cristo, risorgi anche per un Bambino sulla sedia
te ne prego! non lasciarmi solo in questi giorni
che durano da tanto tempo che ho perso il conto.
6
Il Bambino sulla sedia si tasta il petto, il collo, gli brucia per il linguaggio che non esce, che si scioglie muco nei polmoni, tosse, glottide ferita, tonsille marce.
Attende, il Bambino sulla sedia, che il Cristo, risorto, possa posargli la sua mano dove il suo cuore batte tra le lame di parole che pensò, che pensa, che penserà perdendosi nel peccato e nella colpa.
Cristo salvami dal mio destino
che ho vissuto, che vivo, che vivrò.
Dammi l’amore che non si smarrisce, che non t’abbandona, che si fa capire come accudirlo, anche se si è bambini sulla sedia, con parole pensate, dette, e che dirò sbagliando, errando, illudendomi sulla felicità possibile per me.
Posa le tue dita, qui, sul mio sterno, dove sta l’originario d’ogni pensiero di salvezza,
cancella in me la stolta poesia, le stolte parole
che la composero che la compongono che la comporranno,
che mi hanno condotto su questa sedia
-a vivere deriso preso in giro umiliato escluso-
e dammi il credo adatto a reggere il petalo delle tue dita
che salvano dal dolore e dall’insignificanza di questa mia esistenza.
Ti aspetto!
Vieni.
Portami via da qui.
Da questa gente che ho attorno
di cui sono zimbello
sia che rida sia che pianga.
Nominami poeta senza parole
nel sorriso che mi allieterà
volto e petto vedendoti arrivare.
7
Il Bambino sulla sedia
vede ulivi attorno a sé
posa le scarpe di vernice
sulle zolle del Getsemani.
Sente Cristo che dice a Giuda:
“Quello che devi fare fallo in fretta”.
Perché anche Cristo teme l’angoscia alta
di un futuro che non sa quale sia.
Più terribile dell’angoscia sulla Croce per la fine,
però conosciuta e certa, che lo aspetta.
Il Bambino sulla sedia piange vedendo la scena.
Nasce in lui una verità che lo schianta.
(il 16 maggio questo pianto lo riverserà tra le braccia di Giovanni Boine
nel centenario della morte del poeta di Porto Maurizio)
8
Il Bambino sulla sedia traduce il Vangelo per sé così:
voglio conoscere, mio Signore, subito
ora da piccolo, quello che udrò dalle parole
da grande, e che mi tradiranno.
Che tradiranno l’amore e la mia fede in esso.
Cristo fammi conoscere subito tutte queste parole che io stesso modellerò dopo averle udite, nella vita che mi aspetta, come mio bene unico e prezioso. Ingannato ingannandomi come lo stolto che vede un lago nella pozzanghera. Perché poi, mio Cristo, io possa vivere l’angoscia della Croce su questa sedia avendo scontato la mia colpa in esse. Per trovare, in te, non più parole ma l’eterno che di parole non ha più bisogno! o se pronunciate e affidate a chi le riceve, esse, eternamente avranno lo stesso senso, misura, significato, amore.
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NOTICINA
KAROLINE E IL BAMBINO SULLA SEDIA
Kierkegaard ne "L'Esercizio del Cristianesimo" definisce l'angoscia del Cristo dopo le parole di Giuda sul suo futuro più alta di quella che proverà sulla Croce sapendo il suo destino certo in quel dolore. Questo Libro di Kierkegaard è per me fondamentale. In momenti tragici del mio vissuto. Lo fu nel 2010-2011 lo è ad inizio 2017. Il Bambino sulla Sedia (con il Bambino sull'argine) è figura cristologica. Ed evoca un rapporto con la poesia e le parole drammatico perché la letteratura può diventare finzione staccandosi dalla realtà dei sentimenti che, lui, Bambino sulla Sedia, vorrebbe inscalfibili non sottoposti a cambiamenti o rovesci. E per questo confida in Gemma Galgani e nel Vangelo del Cristo
Il Bambino sulla Sedia s'accosta pertanto alla figura di Cristofora di Karoline Knabberchen.