Accio: Le vene della Nada in ospedale - 25 febbraio 2017
Accio
LE VENE DELLA NADA
Vene braccia bianche nella tenuità tagliente
Nutrono drago lo spavento trama di eterno
Tra flaconi di medicine ricette senza tregua
Sull’affanno sulla promessa frale di guarigione.
Ho cucito fili di seta sotto il velo drago dolore
Predice tregua la primavera oltre febbraio.
Salivo sul ramo più alto del ciliegio mamma
Me lo rammenti e allora colgo un bel rosso per te
E il giallo della mimosa nel tono fugace d’un bacio.
LE VENE CHE ACCIO VEDE
Mia madre, la mi’ mamma Nada Pardini sarta, è ammalata di cuore. Ed è in pericolo. Io le porto questa stella e l’ho cucita con le parole che ho sottomano e sottopelle. Mi regalò le prime matite e i primi colori. E disegnavo nel suo atelier di sarta per ragazze. Lì guardavo la bellezza sua e quella delle sartine e di chi veniva a farsi camicie e gonne e tailleur. Ora cucio per lei disegni e parole. Sono io il suo sarto.
E l’opera che ho in mente sarà immensa perché sono sempre esagerato nell’amore come nel dolore. E ci fa pure rima. Notte del 25 febbraio. E fra poco parto. E i disegni stanno con me in auto. E brilleranno più del cruscotto acceso. Perché voglio che sia così! E se un artista non riesce a fare una stella per chi ama che artista è!? Io la so fare.
E firmo disegni e parole col mio soprannome, che è Accio, col quale a volte anche la Nada mi chiama. Con questo soprannome che nacque come dispregiativo verso me nella mia terra voglio firmarmi. Perché per la mi' mamma cattivo del tutto non son mai stato. Come per tanti uomini e donne che ho incontrato. Sennò non disegneresti e scriveresti come fai, mi dirà. E poi aggiungerà, da compagna comunista, la prossima volta un disegnino fallo anche per queste amiche che hanno il cuore ballerino come a me, tanto a te che ti ci vole a falli, sei un fulmine coi colori. Però il più bello dallo sempre a me. Ci tengo. E lo terrò, poi, da guarita in camera da letto.