:: Theodor Storm: Meeresstrand. Tradotto da Margherita Stein |
THEODOR STORM
MEERESSTRAND Ans Haff nun fliegt die Möwe,
Noch einmal schauert leise
bianco-in-piume vola sulla baia volatili svolano in grigio ascolto i segreti sciaquii di nuovo freme e ancora
Über die Heide hallet mein Schritt;
BRUGHIERA
lontana è la primavera, la stagione autunnale è – nebbie dense danzano fantasmi; non fossi mai giunto qui! Nel maggio!
Traduzione di Margherita Stein
IL MIO AMICO INVECCHIATO DOR STOR
Omaggio a Theodor Storm
e alla fidanzata Margherita Stein
Con Theodor Storm mi concedo di scherzare, fino a disegnarlo DOR STOR, perché lo conosco da lunga data: come poeta me lo presentò Margherita Stein, la mia fidanzata, nascosta, lucchese, che aveva preso a tradurlo in modo assolutamente infedele, come tu sei infedele alla tua poesia ufficiale frequentante il liceo, di nome Antonia Milk, mi disse, e come tu fai in camera oscura calco sulle ombre traducendo il paesaggio dello Schleswig-Holstein dove il nostro nacque. Concluse. Come scrittore lo conobbi acquistando a fine anni Settanta sulle bancarelle i volumi di una casa editrice che chiudeva la narrativa universale: la Utet. Volumi rilegati, in tela, con cartigli ottocenteschi. Cedevano il passo ai tascabili agili in grafica pop. Lessi “Immensee”. La novella d’amore. Amore infelice. Lì raccolsi il rametto d’erica che poi avrei ritrovato nella poesia “L’addio”di Apollinaire, e in una lettera di Dino Campana alla sua Sibilla. Ne ho scritto nell’annuario Tellus 27, “Dalla Torre Pendente alle Alpi”, in Biblioteca Domestica. Ci tornerò a scrivere a breve sopra. Adesso preme che Dor Stor descriva la città natia in riva al mare, grigia nei tetti e nelle nebbie, orecchiante la monotonia delle onde che cozzano il capo nel porto. Evocando, sembra, vibrazioni di presenze, nella fanghiglia, poco in accordo con le linde tovaglie domenicali, i conti in ordine dei commerci, e i canti di lode a Dio.
![]() Accanto all’acqua sui cui filano piumati candidi a intorbidarsi nel rosso scuro dei tramonti sta la brughiera dove s’agita ogni aspetto friabile della felicità, se mai c’è stata!, nel suo trascolorare autunnale: la cifratura, ma anche armatura, del quotidiano sommato stormiano, si ribalta nella scomparsa d’ogni senso che il vissuto ebbe. Il suolo rimanda il rimbombo sordo di stabilità ma il sopra è secco, le piante, i frutti, e anche l’uccello nella sera sul mare - di casa di porto oh inganno - si perde nella nebbia, le sue piume son macchiate, e son pesanti nell’inverno che viene. Non avranno muta a primavera. Il mondo è inospite, sembra dire il vecchio che scende verso casa, e che tra poco, si chiama Reinhard, sedendo nel crepuscolo nella sua camera, vedrà l’ultimo raggio di sole lambire il ritratto di Elisabeth: la perduta Elisabeth, a cui consegnò un rametto d’erica a primavera. Nel luogo boschivo detto Immensee. Mi porti pure il lume, dice alla domestica, quanto contava l’ho visto in luce quando i miei occhi andavano d’accordo con il gabbiano che nessuna nebbia vinceva volando sul porto.
Claudio Di Scalzo
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