:: Karoline Knabberchen: Poco lontano sul mare... A Fabio Nardi, primavera 1981


KK nei giochi d'acqua - Foto Fabio Nardi, senza data





Karoline Knabberchen

POCO LONTANO SUL MARE…

a Fabio Nardi – Primavera 1981

 

La gramigna ha un suo motivo.

Cresce in forza di verità. Ciò che ai più pare inutile nella sua abbondanza è il tentativo popolare, poco letterario, di intendere la libertà.

La sua presenza mi ravviva le tempie nell'aderenza del cuscino.

Ti sento cucito addosso, lungo il respiro taciuto per intercessione del dio cristiano. Quello che Schellig scoprì dimidiato dal male?

La gramigna chiude la gola dei collerici. Ne arrossa gli alveoli scoppiandoli in rossi grumi di tessuti e sangue. Io li guardo cadere uno a uno nella mia apnea.

 

Poco lontano sul mare

Un uomo di sale

Scioglie l'onda

I polmoni si riempiono

D'acqua

L'uomo di sale la beve

In dissoluzione

 

Sono salva - cauterizza ferite

Anche nel piano avanzato

In fughe silenziose

 



 

Eri solo ma solo per gioco.

T'avessi stretto al petto saresti stato un gatto fastidioso, un coniglio con l'occhio di rapina.

Mi prenderesti per i capelli sollevandoli in sbuffi e soffi.

La pietra ferita è scheggia di selce pronta alla guerra.

 

 

Parlando con i pigmenti assurdi della pelle, sfogliando derma su derma, ho letto la tua storia. Ho un'enciclopedia nelle mani, che neppure le zingare saprebbero interpretare.

Io sì, perché è mia ogni cellula che separo - se voglio. Tanti raccontini allegri, germogliati in piani separati.

Non ho mai capito questa assurda diversità (non potersi tenere per mano col ragazzino che mi piaceva, per soggezione...) ... Era questo il vivere un mio comunismo? Sperare nel sentirmi più uguale a Dio di altri, mentre il cielo si chiudeva dietro le porte serrate della chiesa a Guarda? Avevo bisogno di un dio qualsiasi?

In apertura il sogno engadinese mi disse che era un cuore completo la giusta appartenenza, nessun nembo ne copriva il volto.

 

 

Giacqui di schiena per ore, odorando la pelle bagnata di mare.

Nessuno credeva ch'io fossi lì.

Fabio era un'ombra furente, l'immobile scatto di belva ferita.

L'odore d’acqua salata mi salva la vita ogni giorno, da quel giorno.

Ho scoperchiato un vuoto fruttuoso, che consegno in pose infinite.

Non temere d'aprirmi confini, sono linea e cerchio. In nessun caso il rasoio del tuo sguardo recide nel mezzo la mia nascita.

 

 

Porto un verso serale alle tue labbra.

Sono una o più donne, ma solo l'amore che ti porto conta nella somma dei tuoi sonni.

Le palpebre tue belle vibrano farfalle di nomi. Sono in attesa del mio.

Tu presto l'avrai, afferrandolo tra le mandorle chiare dei denti, in sangue i suoni affonderanno il taglio dell'aria.

Ti ho con me da sempre.

Il respiro tuo lo porto in minuscola circonferenza ruotante d’ombelico, qui ti fecondo una storia.