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PASSEGGIATA KIERKEGAARD

:: Karoline Knabberchen: Boine e Kafka con la pallottola verso la tempia di Majakovskij. 1982
04 Novembre 2022


Fabio Nardi: Boine e Kafka due visi in tisi. 1982





Karoline Knabberchen (1959-1984)

BOINE E KAFKA CON LA PALLOTTOLA VERSO LA TEMPIA DI MAJAKOVSKIJ

1982

 

Clikka - NARDI E KK scoprono Boine sulla bancarella

 

"Tu come stai Fabio? Nella scuola come procede il fine anno 1982? Io malinconica ma dentro una strada alberata da maestri che portano luce dal fogliame dolore. Kafka, Boine: due gemelli diversi: voglio riuscire a provarlo".

Clikka: 
Karolina Tua Malatina Tanta Bua. Due lettere brevi a Fabio Nardi. 1982



 

1
 

Chiudendo gli occhi vedo il volto di Boine trasformarsi in architettura naïf: la linea del naso divide in due una casa sul litorale: a sinistra verde a destra color crema. Occhi sopracciglia baffi bocca neri, paiono porte persiane scuri battenti. Fuori c’è il mare ma non lo scorgo, l'immagine di lui diviene schermo cinemascope dietro palpebre.

Gli avevo chiesto aiuto, a Giovanni Boine, è apparso in questa maniera.

A te pare strano, Fabio, ma con Boine ci parlo come tu parlavi con Kafka (era tanto tempo fa e non ricordi): quando sono molto stanca allora si mostra, però solo a me di nascosto dietro le palpebre. Tu non ci credi perché lì non puoi venire e sei pure geloso dove non vedi quel ch’io scopro. Ma io so cosa Boine mi suggerisce, poiché è apparso quando tenevo in mano i Diari del praghese.

Insomma è evidente che una manifestazione non è mai unica, perché deve raggiungere tutti, dunque di tutti essere a portata d'orecchio se non di occhi chiusi: e mi son persuasa che dentro la casa ci fosse Kafka che riposava; Boine vi faceva la guardia. Ogni tanto i ruoli s’invertono, ma quello ho scorto perché ho invocato lui... Il groppo di malattia il medesimo, soltanto che uno era legno duro nodoso: corbezzolo; l'altro morbido malleabile abete. Entrambi han riversato sul mondo lor resina. E gli amori tutti sbagliati, quelli son proprio speculari! C'era lo zampino di Dio in tutti e due; ma come fai se sei poco meno di, e tanto più di? Ti riconosci sacro, e vivi la lordura domestica. Ridi? Son giochi di bambini come trovare il migliore amico, il tanto più simile a te che almeno ti consoli.

Ecco, qui mi consolo io e nessun altro. Intanto m’appaiono sogni vecchi che credo d'aver sognato in altre cento vite, ma che ricordo un'unica volta: si portano il carico del Segreto che ci riguarda, che riguarda soprattutto loro due, troppo vicini e instabili per abitare lo stesso universo. Chi ci crede è perduto. E tu Fabio?

Mentre Boine veglia, Kafka si gode il tiepido sole di primavera engadinese; sta sul retro, in giardino. Quando i ruoli s’invertono Boine spera s'alzi la brezza sulla giornata variabile: così da stendersi in mezzo al prato e osservare nuvole allacciarsi slacciarsi in cielo.

Tra i due c'è un gran silenzio che nessuno per primo viola. Poi hanno entrambi molto da fare: Kafka riordina le sue carte bruciate, Boine indaga l'incommensurabile con il metro dei propri frammenti.

Sembrano due scienziati con davanti l'infinità della Morte e l'elisir dell'Immortalità quasi a portata di mano, intravista tra gli sbavi d'inchiostro su qualche quaderno. Boine crede di averlo raggiunto nel rovescio del verbo, Kafka lo solletica assecondandolo. Che le parole non esistano, su questo però entrambi concordano.

Studiano gli oggetti magici, i proverbi, i motti saggi che criptano altre verità; ne turbano la superficie per intravedere oltre lo specchio della prima immagine. Hanno sviluppato la stessa facilità di mentire dicendo la Verità: ciò peraltro non riduce a turbamento gli scritti che vergano nel profondo silenzio della loro condizione.

Elaborano codici segreti per divenire impenetrabili e trascrivere così lettere e diari affinché rimangano, ma solo a chi ne conoscerà la Chiave. Non li avvampa la febbre socialista, fanno e disfano rivoluzioni per conto loro, in gran segreto.



 

2


Ad esempio chi fu il primo a dire che Boine vacillasse tra Sorel e certo pangermanismo in odore di Littorio-Reazione? Conta tra le nuvole il numero di volte che postume sue pagine furon lette a giustificazione di quella o l’altra frangia. Idioti. Scaltri in cattiva fede gli uni, semplice manovalanza della macchina tritacarne al potere, gli altri. Ti giuro che a gran voce e chiaramente dichiarò come da nessuna parte, in nessun gruppo ci si liberi e da nessuno di essi ci si salvi. Pure con Herzl, piantato a foglia larga nei soggiorni borghesi, bisogna andar cauti; ma a chi volle travisare le parole sul “Carlino”, appuntate all’occhiello della storia, egli fornì un ghiotto banchetto - lo sa bene - e chi se ne impippa! Quel che scrivi, scrivi: sia almeno vera, la velina sociale che la vita passa al tuo giornale. Poiché il flusso non lo domino io né tu, ma il mio cane ci riesce tutto dentro l’azione come le bestie fanno.

Soluzioni non trovai, ma non mi persi mai. Voi tutti invece mentite franchi, con la facce lucide nell’orgia del teatro, appunta Franz Kafka: e se i nervi miei son fragili come dite, com’è che io solo m’accorgo di dove finisce l’ombra che c’inghiotte? Le falangi non tremano come la voce; le falangi sono schierate per una guerra senza tempo, agguantano il calamaio per conquistare, nel gesto dello scrivere, chilometri e chilometri di coscienza. Tremano i confini, divampa la rivolta.

Entrambi ammirano gli uomini di mondo per quella disinvoltura da albergo di lusso che li accompagna col profumo di fresca mattinata. Ma vedono il rovescio (su questo mentono, son blasfemi a dir che no, che son ciechi a tratti e possono giurarlo che nel nero più nero a sbatter musi sugli spigoli son loro e non gli altri): vedono in fondo alla superficie della prima impressione, le macchie dietro i volti i ritocchi gli stucchi e la facciata come nuova. Sempre più nuova mentre loro invecchiano si consumano scricchiolano, come assi d’una bara. In quel giardino dove non ci si può incontrare, dove l’uno e l’altro alternativamente son guardiani a loro stessi, si riappropriano dei chili che la vita consumò loro addosso.



 

3
 

Io, Karoline Knabberchen, non credo in questo compito, ma cosa importa... Da lì loro godono di una posizione privilegiata. Osservano la parabola della pallottola che si sparò Majakovskij. Come un alito, lo spostamento d'aria insinua in loro dubbi: quella vicinanza quasi inopportuna, a l'uno - Kafka - ricorda l'odore di naftalina che proveniva dagli armadi di casa; ricorda la voce della madre chiamare per la cena; ricorda Ottla a occhi bassi nel suo ingresso in sala da pranzo sotto lo sguardo del padre. E ancora una reminiscenza per nulla vaga, che per rincorrerla deve distrarre lo sguardo dalla parabola discendente e poi riprendere a guardarla; a intervalli brevi e precisi; per non lasciarsi sfuggire la coda di quella cometa: sfavillante dubbi. L'altro, Boine, si sente più inquieto e quasi triste, colpevole pur rimanendo consapevole di aver sempre creduto nella responsabilità individuale di ogni storia; tanto lì la pallottola non sarebbe giunta mai a destinazione, così lui si permette l'ostentazione di ore passate a chiedersi a quale distanza e per quanto tempo quella morte si sarebbe perpetrata. Sentiva infine di non aver fatto abbastanza.

Intanto dalla radio a piano terra le notizie si accavallavano, rimbalzando come schegge impazzite: dall'ottobre rosso all'11 novembre; dalla firma dell'armistizio fino all'annuncio della sua morte e le letture degli amici al funerale. Quanto gli rimaneva era l'insoddisfatta intemperanza di un giovane dall'intuito lucido ma immaturo. Ogni volta, mentre pensavano ciò, un corpo pesantemente capitolava a terra. Era il corpo della Poesia in cui loro avevano creduto, esanime in una pozza di sangue, colpitosi a morte; corpo massiccio da boxer, come s'immaginavano entrambi ce l'avesse la scrittura. Un corpo così, li avrebbe salvati entrambi?

 



 


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