:: Accio e Sara Cardellino: Domenico Scarlatti in 8 atti per 8 dicembre da tenere a mente.


Domenico Scarlatti - Sonata L 407



 

Domenico Scarlatti Sonata L 474



 

Domenico Scarlatti Sonata L 107



 

Accio e Sara Cardellino

 DOMENICO SCARLATTI IN 8 ATTI PER 8 DICEMBRE DA TENERE A MENTE 






Bacio otto dicembre 2020, 1




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Modugno e Scarlatti nel dialogo telefonico tra Accio e Cardellino

 

Allacciati nella scrittura sulla musica. Dove finisco io cominci tu dove finisci tu ricomincio io. In otto parti. Perché l’intreccio vale per L’Immacolata Concezione dell’8 dicembre.
 

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Ho indagato la vita di Domenico Scarlatti (Napoli 26 ottobre 1685 – Madrid 23 luglio 1757). Sara Cardellino mi ha invitato ad ascoltare le sue Sonate per clavicembalo. Quando m’invita ad ESSERCIZIO, come la puntina di un tempo sull’LP, so che ruoterò stringente sopra verità da trovare che stanno sul fondale perché il sasso esistenziale suo e mio sprofondando rimanda cerchio allargante in superficie da interpretare. Con raffronti con l’età attuale estetica dimidiata tra reale e virtuale sui Media sulla Rete.

Se della vita di alcuni compositori conosciamo tutto, quasi diaristicamente, coi rimandi alle opere, metti Beethoven o Mahler; se di altri conosciamo qualcosa: di Scarlatti non sappiamo nulla. Istesso della sua arte compositiva come la intendeva come procedeva come la raccolse e quando. Anche l’unico suo ritratto non è veritiero. Non sono i suoi lineamenti. Non è autentico.

Tutto ciò stride con la saturazione di visibilità vissuta dagli artisti oggi, in varie estetiche, non solo musicali, sparse sui social sul web. Compreso chi adesso indaga e scrive. Anche se le apparizioni riguardano personaggi. Eteronimi. Più che ortonimi. E ciò imparenta per paradosso con il Nulla di Domenico Scarlatti. Tanti personaggi in avventure generi temi diversi occultano il reale Claudio la reale Sara. È ciò che vuole farmi scoprire il Cardellino? Lei ne è certamente lieta sennò non parteciperebbe alle coppie rappresentate. Io però sono contento di questo esito? Sì, posso rispondere di sì! È quanto cercavo: cerchi allarganti in superficie e sasso, due sassi, sul fondo. Al quale discendere tenendo le scoperte più sconvolgenti nel segreto della coppia. Di due biografie.

Deduzione investigativa ulteriore. Per Domenico Scarlatti, ascoltandolo nelle Sonate per Clavicembalo ci si convince che i dati biografici conoscendoli sarebbero di intralcio. L’opera nel suo suono non ne necessita. È musica straordinaria e basta. Fenomeno musicale irripetibile. Scavalcando i dati biografici si ottiene l’atemporalità perfetta. 155 sonate per clavicembalo.

 

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Un’opera, in musica come in altra estetica metti pittura o fotografia o letteratura, può reggersi sul Nulla biografico occultato scomparso, se altri autori scrivono sull’opera e fantasticano su di una possibile biografia, sul mistero di un’assenza? sì, se a farlo è Massimo Bontempelli e Gabriele D’Annunzio con la sua "Leda senza cigno".

L’assenza biografica, il nascondimento totale, genera il mito. Agli altri in apoteosi biografica il trito. Rima necessaria. Ciò vale per l’oggi sui social sul web di tanti artisti. In moltitudine. In cerca di episodi nel reale per manifestare la loro arte: convegni serate festival incontri conviviali prontamente riportati sul virtuale social o blog poetico.

Domenico Scarlatti il senzabiografia rivela che i grandi artisti risolvono da soli i problemi del linguaggio. Non necessitano di teorie a priori a posteriori da illustrare ai coetanei ai posteri. Perché operano sintesi di quanto hanno a disposizione. Che coinvolgono nel Ritmo. Ne inventano uno nuovo. Così prende scrittura partitura suono quanto intreccia lo stile galante dell’epoca il melodismo paludato dell’opera seria, quello scherzoso dell’opera buffa o sentimentale incorniciato nel delicato contrappunto fino all’estro toccantistico dell’improvvisazione.

Le 155 Sonate per Clavicembalo sono tutte dei capolavori. Sorprendente, per l’oggi, che molte pagine non superino il minuto di ascolto. Il capolavoro diventa minuscolo seme nella terra biografica inesistente. Oppure nocciolo per polpa biografica che possiamo solo immaginare.

E l’immaginazione può svilupparsi sugli scarni dati in nostro possesso. Intanto il più esemplare. La data di nascita: suo padre è Alessandro Scarlatti perno del barocco musicale italiano nonché operista: il 26 ottobre 1685 a Napoli. Quello stesso anno nascono Johann Sebastian Bach e Georg Friedrich Händel. Trio delle meraviglie. Il primo piantato in terra tedesca nella tradizione luterana nella polifonia sacra; il secondo cosmopolita adattatore del modulo oratoriale protestante con l’opera italiana: il terzo, l’italiano, capace in silenzio di rinnovare la stagione strumentale patria nell’essenzialità nella misurata astrattezza. Essenziale come i pochi dati biografici, appunto. L’astrazione sul suo vissuto la compiano i Bontempelli i D’Annunzio. Insomma gli altri. Non stanno facendo qualcosa di simile Accio e Cardellino inventando un linguaggio che prima non c'era? E non starà agli altri indagare su chi siamo su cosa abbiamo "combinato"? E se anche ciò non avvenisse per noi è lo stesso.

Quanto sappiamo di Domenico Scarlatti sta in una manciata di date. A sedici anni il precoce talento di Domenico viene nominato organista e compositore di musica della Cappella Reale di Napoli. Nel 1702 essendoci disordini nella terra natale raggiunge Firenze col padre alla corte dei Medici. Qui, possiamo ipotizzare, conosce l’importante costruttore di clavicembali Bartolomeo Cristofori. Lasciata Firenze a fine 1702, mentre il padre si stabilisce a Roma, Domenico torna a Napoli. Scrive tre opere. Le rappresenta. Non hanno il successo sperato. Il padre gli suggerisce di raggiungere Venezia presentandolo con lettera all’amico, potentissimo, Ferdinando de’ Medici. Lettera dove in una frase sta tutto l’amore paterno. “Questo figlio ch’è un’Aquila cui son cresciute l’Ali non deve star ozioso nel nido, ed io non debbo impedirne il volo”.

L’aquila Domenico volerà dunque in alto e sarà per questo che la biografia vissuta da quel sé stesso in basso non gli importerà un bel nulla.

Entra in contatto col nobile Alvise Morosini. A Venezia dove si trattiene fino al 1708 conosce Vivaldi. Ma niente sappiamo dei loro rapporti. Il Prete Rosso ha sette anni più di Domenico. Ha pubblicato le Sonate a Tre op. I.

Le conosce di sicuro. E scopre che ha in comune con il veneziano scatti ritmici figure tematiche incisive impostate sull’accordo fondamentale.

Se con Vivaldi si scambia episodicamente con Händel, già famoso e conosciuto e generoso, si scambierà stabilmente. Il ventenne senza biografia Domenico.

Intanto che fa il padre Alessandro a Roma? La lascia. Richiamato a Napoli maestro di Cappella lasciato sei anni prima. Ma lascia il posto al figlio. Domenico entra al servizio della regina Maria Casimira di Polonia.

Su Domenico senza biografia si sviluppa a questo punto un dato biografico probabilmente fantasioso però plausibile anche negli esiti. Nel palazzo del cardinale Ottoboni avviene la sfida al clavicembalo e all’organo con Händel. Vince al primo strumento perde al secondo. Pari e patta. La leggenda scatta.

A Roma conosce e frequenta Corelli e Pasquini. Impara. L’arte. E la mette da parte. Ne fa scorte.

Da Corelli prende spunti tematici. Sinteticità concreta di costruzione. Solida linearità del dettato; superando la superficialità dello stile galante. Da Pasquini intride le partiture d’ogni risorsa attinente al clavicembalo: umore brillante, invenzione sorgiva, sapore popolaresco coinvolgente.

A Roma diventa maestro della Cappella Giulia in Vaticano. Scrive uno Stabat mater a dieci voci. Partitura che per interesse sta a pari delle sonate per clavicembalo.

Nel settembre 1719 si reca a Londra. Nel maggio 1720, il 30, al King’s Theatre viene rappresentata un’opera di Scarlatti: il Narciso. Nessuna altra notizia abbiamo del suo soggiorno. Dopo andrà a Lisbona. Qui dirige la Cappella reale. Insegna il cembalo all’infanta Maria Barbara.

Saltuariamente torna a Roma a Napoli. Altro non sappiamo. A Roma sposa Caterina Gentili. A Lisbona rimane fino al 1729. Quando l’infanta sposa Fernando principe delle Asturie futuro re di Spagna lo segue a Madrid.

Nella capitale spagnola vive gli ultimi suoi 28 anni. Tempo lungo sul quale non sappiamo neppure breve nota biografica.

Nel 1738 pubblica trenta delle sue sonate definite umilmente ESSERCIZI.

Rimasto vedovo sposa Anastasia Maxarti Ximenes.

Nelle splendide cornici del Pardo, del Buen Retiro, dell’Escorial, compone la maggior parte della sua opera clavicembelista. 555 sonate.

Nel 1752 è colpito da gravissima malattia. Che lo porterà a morte a Madrid il 23 luglio 1757.


 


Bacio otto dicembre 2020, 2
 

 

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Le sonate per clavicembalo di Domenico Scarlatti sono l’ombra lunga sonora che va altre la non-biografia e che epperò da essa, cassata per riservatezza dal musicista, prende slancio. Suo padre lo definì un’aquila. Ebbene le aquile vivono solitarie. Sui picchi, alti, di un isolamento completo, nell’aria rarefatta di un'illuminazione tanto simile alla poesia, Domenico Scarlatti crea un’opera che può negarsi ai molteplici rapporti eletti estetica che coinvolgevano altri compositori. Aquila con possenti ali a cui cresce il talento unico mentre per scelta non si cura della bica vita biografica.

 

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Scarsamente celebrato in vita obliato dopo la morte ritornato a fine ottocento inizio '900. Se nel passato secolo è stata eseguita e valorizzata la sua opera per clavicembalo, dobbiamo chiosare che a studiarla finemente, nelle sue 555 sonate, in tanti han desistito; in più la sua opera per la Chiesa per il teatro è obliata. Attende stampatori esegeti esecuzioni.

La sonata di Domenico Scarlatti è, in consistenza, semplice. Possiamo così definirla ma perché? Perché bipartita con un tema modulante ascende nella parte iniziale dalla tonica alla dominante nella seconda scende dalla dominante alla tonica. Questa “semplicità” è elaborata però con massima genialità. Qui si rivela una legge dell’estetica anche in pittura o fotografia: la semplicità, il candore quasi, possono portare al capolavoro che magari si nega a quanto vien costruito complesso.

Le sue sonate sono monotematiche; con più motivi anche fino ad otto, tecnicamente a pari, che si susseguono si contrastano che si concludono con momentanee cadenze; quelle con più motivi però in diversa importanza; in questo caso alcuni motivi primeggiano nella partitura nell’esecuzione.

 

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Molte sonate per clavicembalo stanno sotto il segno della malinconia, secondo alcuni critici. In alcuni casi son state definite preromantiche. Poco valgono queste generalizzazioni: fermacarte universali multiuso. Dobbiamo aggiungere che la fantasia musicale di Domenico Scarlatti viene accesa da un segreto, rimosso, malinconico fermento; tanto che lui compositore non potendola far sparire né volendoci rinunciare del tutto a manifestarla, la vela con richiami di svago di brillantezza nei ritmi, con motivi graziosi, che mai scivolano nel divertimento pieno nell’allegria esposta.

Questo giudizio che potrebbe basarsi sopra analisi puntuali della struttura sonatistica prende invece avvio dal Frontespizio degli ESSERCIZI del 1738. Qui il motto si esprime con “CURARUM LEVAMEN", lenimento degli affanni. Le Sonate vogliono lenire le angustie le pene il fiatone degli uomini in fuga da qualche dispiacere. Ciò può farlo l’aquila imperturbabile nel suo volo. Rivelare che compito della musica non è proporre qualche volgare diletto o retorica colta nei suoni, bensì sopire nel vivere umano quanto porta, inevitabilmente, apprensione, fidando che gli orecchi accolgano il “buon sentire” col suono atto al suo compito. Niente di più, niente di meno. Questo è Domenico Scarlatti.

 

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C’è un capolavoro di Scarlatti tra le molteplici sonate? Probabile sia la demoniaca Sonata in do minore L 407. Anche perché il cattolicissimo Domenico, nominato “Cavaliere dell’Abito del Cristo” a Madrid, aveva in sé volute poco angeliche. Lo rivela il suo nascondimento biografico. Ch’è preromantico. Qui c’è l’uso originalissimo dell’armonia, l’uso espressivo delle pause con corona: ottenendo di spezzare la ritmica continuità. Il demoniaco, ovvio, sta nelle enigmatiche parentesi.

Intendo nella canicola azzurra di Madrid

la grazia dei ritmi tignenti attimi di rossore

fanciullesco sulle gote delle allieve.

Clavicembalo delicato specchio

in armonia col tempo che si disfa lieto.


 

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La Sonata in Fa maggiore L 474 vive, condensa, al massimo grado lo stile di Domenico Scarlatti definito impressionistico. Uso inquietante dell’armonia cioè con molteplici note che anticipano l’armonia stessa creando disparità tonale. Sonata che inizia in Fa maggiore e termina pacatamente in Re minore.

 

Sembra l’armonia sfasata della sonata

accordarsi con mèssi mature nel giugno.

Pensa Domenico Scarlatti. Lo permette l’inizio

in Fa maggiore. La sorpresa sarà che il Re minore

la intreccia anche con la spiga notturna costellazione.

Il finale celeste sopra le mura rosee della campagna.

(Viaggio fuori Madrid, con la nobile allieva Maria Barbara, del quale niente si sa di preciso)


 

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La libera fantasia costruttiva nelle Sonate per clavicembalo di Domenico Scarlatti la si ritrova perfettamente esplicata nella Sonata in Re Maggiore L 107. Mirabile l’inizio richiamante vaghe sonorità di ottoni ma dopo ecco un molto diverso episodio in Do Maggiore. Il seguito esplica gioiosa rapsodica libertà che però va a concludersi nell’umbratile, del tutto imprevisto, Re Minore.

Qualcosa che non t’aspetti nella sonata deve apparire.

Oltre l’esile assuefazione agli affanni una melodia

ti riconduca alla facilità del respiro

al ritmo verde ch’agita le foglie del giardino

all’azzurro audace ovunque posato. Anche sulla tua fronte

levata nell’ascolto che sia riconosciuto compimento.