:: Karoline Knabberchen nella casa di Fabio Nardi a Vecchiano e in Engadina. Poesie e Diario 1979 - Cura CDS


Fabio Nardi: Alberi sul Serchio a Montuolo prima di Lucca





KAROLINE KNABBERCHEN NELLA CASA DI FABIO NARD A VECCHIANO E IN ENGADINA 

Versi leggeri per amore... nostro (passato presente futuro) amore

 

Sarò delicata con te, sempre

Non torcerò un capello alla tua anima
E mentre aspetto la resurrezione
Tutte le resurrezioni non mi bastano
Voglio raccogliere lo strumento del respiro
E scoprire come col tuo alito disegno
Alla finestra la mia cosmogonia
Dell’esistere edifico una mia mitologia


 


Fabio Nardi: Tre baite nella neve alta d'Engadina


 

Su tutte le icone d’oro le mandorle

I cartigli del tuo nome ultimo

Vermiglio sulle ciglia che ricami

Portandomi – tuo malgrado –

Un pettirosso nella mano

Incanta i polpastrelli nella morsa

Della carne canta tutte le movenze

Sulle cinque dita, i miei amori, stanno

 

 


Fabio Nardi: Sboccio sul Bastione di san Colombano Mura di Lucca

 

 

Movimenti per il cuore in CARDIODRAMMA

 

San Colombano non ha vertigini

Una protezione d’erba e una storia

Disvelata in falisca – perché nessuno

Nessuno capiva di che ci parlavan

Le lingue così vicine al Cardiodramma

 

Ogni sezione in fortificazione

Caduta per noi se eretta da altri

Sul tronco liscio del mondo

Scivola libera mano e ritorno

Dove ti sei rivolto al cuor

mio d'Engadina

 

Con la fronte dipinta di buio

Ch’è sciolto, ti porto vicino

Amore nel crepaccio divaricato

Esistenza e sua assenza di peso

Trascini se resta nel cardiodramma

 

E torno a San Colombano

Senza vertigini ma tu mi tenevi

La mano scoperta radice d’ogni paura

Che apre alla cura se cerchi

La mano sul petto è rimasta
 
guarente nel cuore cardiodramma

 

Finisce pure la sera un giorno

Fiorisce dentro la testa qualsiasi tramonto

Resurrezione si chiama ogni alba

Che appunta nel cielo la nostra visione

E trema la luce che cola dal cuore cardiodramma

 

 


Fabio nardi: San Colombano con capra engadinese sulla mano

 

 

 

Prendo in prestito il titolo che non appare dagli alberi sulle Mura di Lucca dei quali non conosco nome altezza età. So che questo luogo dove ci promettemmo unione nel pericolo non me ne vuole. Mi proteggo dentro al bastione di comando.

Ti mando freccia braccia faretra inarcata in pensieri. Scocco immagini.

Questa vicenda te la volevo raccontare da tempo. Spero di esserci entrata con la cautela che si deve alle cose preziose.

 

La prima pagina l'hai già letta anche senza riceverla. La seconda è quella di oggi. Spero accada la stessa magia.

 

Fabio, non mi è stato facile scrivere queste righe, perché sono entrata in un luogo (nostro) sacro. Ma volevo fissarla, ricordarla.

Spero di averlo fatto nel modo giusto. Sentendomi pure buffa allegra Ranocchia.

 

tremo mentre lo dico.

 

ti stringo.

 


Fabio Nardi: Antico specchio engadinese ove balzan capre


 

1

Accanto a tutto ciò che è stato con la grandezza granitica dell’immobilità, ecco apparire un assoluto che parla la lingua del movimento e dell’essere. Mi porgi la bocca, non la concedi tutta, forse per un senso di tutela.

Allora ti guardo negli occhi, io dipinta nella pupilla magmatica. Mi pare di trovarci posto con agilità, come una capra. Le capre mi piacciono: le ho viste questa estate, nella loro agilità diversa, corpi a picco sulle balze rocciose d'Engadina a Sils Maria: un salto dalla morte in estatica assenza di gravità, francobolli alle pareti in caduta libera sul lago. Ripenso alla danza intorno al capro, dove furono partorite tragedia e commedia, la forma più arcaica di movimento finalizzato alla comunicazione superiore che vede coinvolti gli uomini assieme agli dei. Chissà che incunamboli cattolici prendono sulle Mura di Lucca.

(E tu mi porgevi il labbro, te lo mordevo. Con le mani grandi mi fasciavi il viso, una corolla di protezione intorno alla testa)

Fuori dalla camera nel giardino nella strada che va alla fontana c’è silenzio. Mi fermo a guardare la luce che si muove tra le foglie, sui ciottoli a terra. Non credo ci sia differenza tra quello che vedo e quello che ho sullo sterno ora. Alternarsi di luce e silenzio, una vibrazione che coinvolge  nuova chimica olistica, acuta come l’angolo delle mie tempie se giro al passato.

Recita una canzone popolare popolare engadinese che forse mi sono inventata: “sorrido anche se non sei con me, sorrido perché ti ritrovo dove sei con me sempre seppure ci siano km di distanza perché mi basta trattenere il respiro e tu mi porti aria”. Consolazione unica la scoperta di questa legge che ci riguarda: quello dell’amore pencolante nel vuoto che se cade trova il pieno. Prima che per glia manti forse riguarda le capre amanti. Rido se mi senti. Credo dipenda dalla fissità dello sguardo, da quanto la sostanza viva - il gel all’interno dell’occhio - abbia facoltà di movimento: lì con modalità oggi ignote, a noi due - gli scienziati un giorno scopriranno per tutti questa dinamica? o forse la Religione del Cristo questa legge ha già rivelato agli uomini detta Vangelo?, qui germina la presenza eterna. L’amore che non disperde e non si disperde mantiene lo sguardo aperto, focalizzato con la fissità di una stella che rinuncia al nero suo rovescio.

Se ti dico che t’ho visto dalla mia nuvola, tu che correvi lungo il fiume, so mi crederai…

 

2

Un’immagine di te indugia nel mio sguardo. Nel tuo studio a Vecchiano, parli a me K.K., fettucce di racconto, immagini si accavallano – non per te – ti seguo, fin dove posso. Dopo le formiche sul braccio, più nulla. Ti volti con le mani in tasca e guardi fuori dalla finestra. Tra noi si apre un'altra forma di comunicazione (siamo entrambi al di qua del vetro, stavolta) dettata dalla velocità con cui viaggiano minuscole particelle nello spazio intorno ai nostri corpi.

La luce ti ritaglia una forma, ti avvolge latteo, galleggi. Gli occhi puntano a una stratificazione, si districano in una matassa di fotografie-icona e contemporaneamente buio. Ti stai ancora riprendendo. Credo che ogni giorno ti pesi come un tentativo di restituirti un respiro regolare, un battito mancante nella conta della pompa del cuore. E’ quell’attimo – pochi istanti alla finestra – di te che consegnerò alla mia storia, è lì accade l’indicibile: sei giovane universitario e ti domandi come salvarla.

Poi frantumi il guscio di luce con un movimento, ti giri mi sorridi “Andiamo giù da mi-mà Elvira ai fornelli?” mi dici. Andiamo, giù per la scala. Cerchiamo di tornare al fumo delizioso del presente cibo fragrante per labbra per le nostre bocche formato capra e capro. Il mito insomma che scherza pure con Boeklin.