:: Karoline Knabberchen: Telemann sul fiume Elba, e io a Venezia. A cura di Claudio Di Scalzo

 CDS: "Telemann nasotromba"

 



 

 Karoline Knabberchen

TELEMANN SULL'ELBA

 
 Fabio mio,

ieri hai risvegliato in cuore sensazioni bambine. Ti sento presente nella mia infanzia: non "come se", ma presente. Quasi non fossero passati anni, e mi trovassi lì dove ora tu sei. Non so che pensare... posseggo solo questa lucidità felice. Le fa cornice il giallo dell’imperatore Telemann, l’oro della sua tromba, qui nella terra, dove approdiamo come naufraghi dell’insostenibile.

“Nella città di Magdeburgo è nato Telemann.”  Ti dico.

La città sorge sulla sponda occidentale del fiume Elba, nella zona chiamata Elbe-Böde-Heide, cresce come una casa fondata interamente sulla roccia. Quale curiosità mi fece eco attraverso le parole “su questa pietra fonderai la mia chiesa”?

Ti osservavo di taglio, io al volante e tu piegata leggera, a leggere la guida del Touring Club che tieni aperta sulle ginocchia.

So cosa ti mosse a questo gioioso entusiasmo, perché un anno prima mi raccontavi un fatto, e il tuo resoconto fu talmente dettagliato che ora – ripensandoci – ho quasi il dubbio sia capitato a me: il padre di una tua compagna d’università, insegnante d’organo al conservatorio di Udine, invitò te e lei a un suo concerto nella Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, nella città di Venezia – concerto per organo e tromba di Telemann –. Era la prima volta che vedevi Venezia di notte: dicevi che l’oro della tromba lo ritrovasti poi in ogni canale, nel rovescio delle luci liquide riflesse, a scivolare tra le architetture assopite della città.

“Quella sera t’avrei amato anche nelle vesti di Casanova”, ridevi allegra.

“Karoline, se non fai altro tutti i giorni!”

“Così ti sopporto per tenerezza. A volte, anche ti amo: quando reciti il tuo dongiovannismo, e io fingo di cascarci”. 

 

La notte a Venezia pare dischiusa luce, le cupole e le facciate delle chiese sdoppiano un mare oscuro dipinto col pennello, surrealista e visionario, mentre la città conta gli anni nei cerchi di marmo del bosco di colonne neoclassiche.

“L’organo e la tromba creano in un luogo sacro lo stesso effetto del silenzio nell’occhio del ciclone. Mentre l’organo rapisce il Sacro, lavora come una scheggia di legno la sua croce: io m’appigliavo alla tromba per resistere: e quella tensione produceva un prolungamento che  non era dolore, ma estensione di reale.

Ringrazio che poi, uscendo all’aperto, trovai la città addormentata nel suo passato, ammiccante alla mia ebbrezza con docile complicità.”

E mentre questo riportavi alla memoria, con l’aria di un’adolescente che ripassi la lezione, passavi a rassegna i dati biografici del compositore magdeburghese:

“Telemann si accostò alla musica con vocazione da dilettante e per tutta la vita vi si consegnò in  rapporto di felice partecipazione umana, ben lontano dal rigido accademismo di molti suoi colleghi. Compose molto, ma da buon dilettante - cioè da uomo di cultura che si è avvicinato alla musica soprattutto per passione - scrisse prevalentemente per i dilettanti. Il dilettantismo divenne quindi ragione prima di scelte stilistiche: una grande semplificazione, una geniale economia sonora parallela alla precisione degli schemi. Infine, l'innata curiosità dell'amatore e dell'uomo colto, ansioso di tutto sperimentare, senza tema di venir meno alla dignità rigorosa del professionista, lo portò ad accostarsi agli stili più diversi, a tentare tutte le forme, sempre adattandole a quella geniale linearità di dettato.”

Avevi il sole alle spalle, e pure la luna sorgeva dietro i folti crinali dei tuoi capelli. Per un momento scomparve il mio orizzonte – temetti la condizione dell’Insondabile in cui mi sarei precipitato se tu non avessi fatto scudo al firmamento col tuo collo – pure, sotto la delicatezza che ogni giorno rischiari, battevi chiaro il filo della mia lama. Parevi, in quegli attimi, più forte di me.

Riverbera la ferocia che anche il legno c’impone

per verosimiglianza,

nell’abbattere nel costruire e aprire spazi:

dove e come, tra due rive che paiono due vite diverse

ci risponde l’Insondabile: a chi allunghi

la mano, sotto il tavolo?

Questo scrivevi sul tuo quaderno quel pomeriggio, mentre io fotografavo le pietre sull’argine dell’Elba.