:: Karoline Knabberchen: L'Assunta del Tiziano a Venezia. A cura di Claudio Di Scalzo


Tiziano: L'Assunta Basilica dei Frari a Venezia
 
 
 
 

Karoline Knabberchen

L'ASSUNTA DEL TIZIANO A VENEZIA

(a cura di Claudio Di Scalzo) 
 
 
Sestriere san Polo –  Venezia, febbraio 1981
Arrivata a Venezia, indovina un po’ dove s'è rivolta subito la mia attenzione? Bravo, so che mi hai capita!
Mi sono immediatamente diretta ai Frari! Oh, ricordi le passeggiate primaverili nel Sestriere di San Polo?
Essere qui m’ha messa di buon umore, in laguna echeggiano ancora le nostre voci. E stranamente questo non mi crea malinconia (sì, mi manchi… ma se mi manchi nella gioia lo sai che è più bello).
La Basilica è così come la ricordavo! Ho fatto una foto al campanile, te la spedirò. So che riderai tanto, è identica a quella che feci con te... ”il campanile pendente” , lo chiamasti.
Mi sono diretta verso l’altare (tu sai, lì c’è la mia passione!)... I frati ridevano forte: quale luminoso contrasto, l’ombra densa del luogo sacro che sfavilla e si dissolve nelle bocche di questi uomini. I frati li ho da sempre cari: t’ho mai raccontato della mia prima “confessione”, in preparazione della Prima Comunione? Non si riusciva a farmi parlare (l’emozione era tale da serrarmi stomaco e bocca): prima tolsero di mezzo il confessionale, …poi tolsero di mezzo il prete! Mi fecero chiacchierare con un frate che chiamarono appositamente per me! Oh, quanta riconoscenza nei miei occhi di bambina! Quell’omone pacifico e delicato, che aveva capito come vivessi con pena il peccato (non ne avevo da confessare, e lui questo capì! Che quello era il mio peso).
 
Ma sto divagando amor mio, come sempre.
 
Allora, facendomi allegramente spazio tra il riverbero delle loro risate, mi sono avvicinata all’Assunta del Tiziano. Oh, la tua demonietta per poco non cade inciampando nel primo scalino, procedendo così a naso in su...
 
Non ho mai capito se sia la luce che esce e si reincarna nello spazio intorno, o gli arancioni caldi che puliscono e cicatrizzano la mia pupilla! Ma ho pianto, anche questa volta. La bruttezza assimilata in questi giorni -tu sai quanta ne è pesata su queste spalle- tutta s’è lavata, dissolta nella grazia e nell’armonia delle linee: le forme circolari, le due piramidi che esaltano lo sguardo … E l’uomo di spalle, in primo piano… con quel suo braccio teso mi muove sempre a un senso di fratellanza, lo capisco… lo compatisco. Anch’io ho il braccio sempre teso, anch’io vorrei rifugiarmi ancora nell’abbraccio di mia madre. Quando a casa, in estate, si stava a giocare in balcone e l’aria era profumata, e mia madre controllava i vasi dei fiori per scovarci gli scorpioni (sempre ne stanava qualcuno). E poi la sera si stava, io lei e mia sorella, a leggere qualche storia.
 
Quell’uomo soffre di questo vuoto. Ma è così vicino... così vicino e sempre, amore mio, quando torno in questo luogo, spero di trovarlo sulla nuvola, spero ce l’abbia fatta. 
 
                                                                                     Karoline Knabberchen
 
 
 
 
Pisa - Febbraio
 
Quando è arrivata la tua lettera veneziana, nel bisbiglio di suoni avvertiti,  ho saputo che la risonanza dalla città dov’eri tornata, per scrivermi, m’avrebbe consegnato lo spazio, a oriente del mio risveglio, vicino al vetro dell’ampia finestra che guarda l'Arno,... sul fiato condensato sarebbero colate parole. Per dirmi che, da ora in poi, mi farai visita con lo scandalo di una lettera che scrivi nei luoghi dove vuoi portarmi, forse lì m'aspetti, e che leggerò sulle superfici più incongrue: vetri, mobili, tegole, travi, piastrelle, tappeti, coperte, monili… per confidarmi che il nostro mondo, dopo Pisa, non è cambiato, anche a Venezia, anche davanti al quadro di Tiziano dove sei stata. Il cicaleggio opalino del nevischio sparso nella notte occhieggia  sugli argini del fiume. Il vuoto dato dall’assenza dei tuoi occhi, delle tue mani, vuoi riempirlo con una lettera da Venezia? Vuoi sapere quale forma prende adesso il mio abbraccio a te che passeggi in cerca della locanda dove vorresti portarmi alle Zattere? Non ti curi del bronzeo livido che provo nel sogno ad occhi aperti:  la simmetria disciplinata di Morte e Vita viene lacerata, tornano luoghi d’acqua, dove sei a tuo agio, e mi dici che la separazione tra noi è un semplice infortunio, del tutto superabile, sotto alla neve delle parole, al fiato condensato, alla descrizione del dipinto di Tiziano… allora la nuvola di cui parli è anche la tua lettera, ma non so quanto sposta ancora in avanti il nostro incontro, futuro, in qualche città da dove mi scrivi, italiana od europea, nel tuo frequente peregrinare, e se questo  postino in gelo di febbraio sui vetri non sia una sorta di romanzo epistolare che ha pagine  di dolore comune che non trova soluzione… o se le lettere che riceverò affermano che la poesia nella sua ingenuità sognante, non sto forse leggendoti?!, offre il lustrale appuntamento, in gioia, come i corpi freddi aspettano il calore della carezza in una diversa realtà. Di primavera. La nostra di innamorati che, in questi mesi separati, si ritrovano. E che sia febbraio non ha la minima importanza, anzi, senza febbraietto corto e maledetto il vetro sarebbe imperfetto… non leggibile.
 
                                                                                   Fabio Nardi