:: Claudio Di Scalzo: Pagine di Diario bagnato. Canzoniere di Karoline Knabberchen. Con Tracce di lettura

 

CDS: "Flutti di Karoline Knabberchen" 1  - Tempera su carta - 1988

 

 

 

Claudio Di Scalzo

IL SOGNO DI KAROLINE KNABBERCHEN PER PAGINE DI DIARIO BAGNATO

 

 

giorno 0

Nel gorgo che fu mio - dice Karoline - Fabio, avrei voluto tu ci fossi per vedermi inabissare. Null'altro. Ero un naviglio capriccioso. Ma questo non fu possibile, e dalla carcassa di cielo capovolto attraverso il prisma delle lacrime vedevo una sciarada di stelle nel nero immobile delle Lofoten; ho pensato ai glicini, mentre la luce fredda delle stelle pungeva come aghi le profondità marine. Era un viola di risonanze per il nostro amore, triste e graffiante come siamo stati noi, l'uno per l'altra. Ricordi i glicini nelle fresche estati a Guarda?, la stessa luce incocludente la masticavi in boccioli di noia cresciuti all'ombra del mio seno. Oh, si fluttua, ombra tra le ombre nel liquido abbandono del tempo, dove ogni istante - ora sì - mi raggiungi e completi il gesto: eternamente. Mi porgevi il rametto odoroso con il sotteso obbligo del rabesco, volevi crescessi nel gioco e nella sensualità che la tua misura mi prestava. Sono stata fragile dal primo istante; e la tua delicatezza era tutta per il fiore. Ora, da questo novembre caldo in cui piovo cocciutamente sul tuo cuore, ti vedo e sorrido, mentre sposti l'equilibrio dal fiore alla donna e viceversa: stringendo il morso al disastroso epilogo che mi, che ci riguardò. Perché tutta la mia disperata follia fu nel credere, fino alla fine che tu avresti saputo amare...

Mi stupivo di come si levigano in fretta le ossa, e come smaniose nella macabra danza riproducano nel tempo senza tempo un'intera iconografia. A loro manca la resina, scricchiolano come rami piegati dall'implacabile Borea, nella stagione del sonno. E da ogni pertugio d'irrazionalità, da ogni breccia metafisica fan penetrare il ticchettìo sordo della loro musica. Certo, vago ad altezze ove quando giunge, se giunge, essa è appena eco: non sono rimasta là sotto, se è questo che vuoi sapere. Ma nel tempo senza tempo i ricordi son sciolto presente, e futuro condensato per riti ancora da scoprire.

Mi sentirai a volte, e ti parlerò dai luoghi che ami, dalle rocce tragiche e candide del Carso, dall'allegro moderato nel concerto N. 4 per corno di Mozart. Terrò aperto per loro quel pertugio, perché l'altro levigato, tragico bianco danzi per te la mia memoria; scandiranno col loro meccanismo il tempo che è nel tempo, eserciteranno sul tuo corpo una forza che t'aiuterà, ti darà peso. Io, Karoline, se me lo permetti, sarò il tuo vettore.

Quanto andrò narrandoti l'avrò a fatica raccolto sui fondali, evaporando flutti attorno alle Lofoten; e questo per recuperare quelle pagine che non ebbi tempo di scrivere, con il cui inchiostro s'è tinto di piombo il mare del Nord. A Fabio piace esagerare il suo presente, non ti meravigliare: della sua tragedia egli ha bisogno, come della tavola.Gli è mancato chi fosse, per tutto ciò, sua letteratura: ora tu sai, ma ne conosci pure i pericoli. Sii irremovibile, se serve. Ricordagli che quanto va cercando non è romanzo, ma preghiera: mi liberi dal racconto, mi renda orazione silenziosa dei giorni e delle notti vostre assieme. La salvezza non è meta ma processo; e non ha mai fine.

 

 

 

 

giorno 1

Si apre come scroscio improvviso la porta ardente della notte.

A noi che attraversiamo stanze per sopravvivere, questa parrà la più attraente; ma per paura legheremo alle caviglie tanti piccoli sonagli colorati, faremo tintinnare in lampi rosso-rame l'ignoranza che lega e scioglie, attenderemo precisi il miracolo.

La tua e la mia notte non sono uguali, Fabio. Portano entrambe il loro carico equamente suddiviso in sogno ed incubo, ma solo una è veramente letale. Esiste la notte senza crepuscolo; era ed è ancora, alle latitudini in cui ci salutammo. Questo tu hai creduto e credi. L'inganno è nel rovescio cui ti sottoponi, ponendo tutta la fede nella morte (rabbrividisci?), vaso di pandora; mentre è la tua notte, quella dei mille risvegli, l'unico buio perenne.

 

...CONTINUA

 

 

 

 

 

 Claudio Di Scalzo

TRACCE PER IL CANZONIERE DI KAROLINE KNABBERCHEN

 Mi spingo a scrivere alcune tracce per i lettori, in questa cura del “Canzoniere” dedicato alla poetessa svizzera, morta a 25 anni, suicida alle Lofoten, il 20 agosto 1984.

Il Canzoniere di Karoline Knabberchen, è un immaginario, per estensioni tematiche, che tiene in sé presupposti speculativi che sono anche carne e sangue, reale, di un’avventura poetologica e narrativa. Romanzo. Il personaggio di Karoline ha il cuore angelico oceanico, e potrebbe contenere anche altre firme, che ne dilatano il battito. Altre firme - come avviene nel fumetto o nel cinema - che scrivano un altro lemma, un racconto, di questa partizione, mentre il dicibile prova, attraverso di lei, come prima attraverso di me, il tentativo di dire l’indicibile.

Nel suo viaggio terrestre e da presenza oltre la morte

Karoline ci dona il suo elenco di illusioni e allusioni perché noi si possa comporre l’atto consustanziale alla sua biografia con testi creativi che siano anche recita, preghiera, religione, alchimia. L’angolatura prospettica della storia di Karoline Knabberchen morta, di Fabio nardi vivo, taglia la parola personale perché accolga nella ferita un sistema di immaginario in dialogo con la prosodia, la cadenza, il respiro adatto ai nomi del reale e di quanto lo valica. La presenza della "ranocchietta" saltellante Knabberchen, dell'autore Claudio Di Scalzo di Fabio Nardi personaggio, la conduciamo nelle pieghe del mondo per danzare ogni rapporto di creazione linguistica come fuoco in-fatuato tra pagina stampata ed elettronica, sperando somigli a fuoco divoratore dei tempi a noi consentiti non spegnendosi. Scriviamo perché la voce di Karoline Knabberchen vinca ogni consumazione. E resti racconto per chi la vorrà incontrare.

L’arditezza si confà a questa scommessa, nostra, con la delicatezza di una giovane donna svizzera, che sostò a Pisa, nei primi anni Ottanta, e nel paese di Vecchiano, e che molto viaggiò nella sua breve esistenza, a volerne raccontare, nei generi più diversi, ogni reale extratestuale per proliferazione di eventi e apparizioni.

Dai rami del bosco a Guarda, dove Karoline nacque, arriva il muschio del tronco che s’affida a un nord perenne, e la fragranza scaldata dal sole autunnale dei rami a Sud. Se immaginate chi scrive che questo tronco abbracciano avrete il rigore circolare costruttivo che anima me e Fabio Nardi. 

Però il poema necessità che il bosco e il tronco e i rami da noi scelti guardino il mare, e noi con loro, l’oceano e il cielo stellato che di esso fa calco nel visibilio di certe notti, perché noi cerchiamo una semantica della forma che sia pura, e il Sacro s’accosta soltanto all’immensità. In questo processo, e ci sentiamo molto antichi, le nostre identità si mischiano all'intreccio del già scritto a quanto verrà versato nell’abisso concavo dell’immaginario. E le nostre psiche avranno la loro morfologia - spacchiamo il presente nel passato e futuro, invertiamo i tempi - nello sguardo della donna svizzera che ci guida.

Ogni procedimento artistico diventa, se sposato, un anello da portare al dito indice con cui si scrive; io e Fabio Nardi nel Canzoniere di Karoline Knabberchen ne accettiamo che esso distringa la mano e le ossa e la pelle nella crescita del procedimento artistico perché ogni lacerazione reale abbia legittimazione nella trama iridescente della fascinazione di quanto verrà letto e guardato nell’opera avendo al suo stesso interno la finzione della poesia: perché ogni anello ti consegna a una fede e insieme ti lacera le falangi se mai volessimo staccarlo dall’impegno preso. L’amore per Karoline Knabberchen è per sempre.

La tensione nell’immaginario per Karoline è unificante. Come la paglia tagliata conserva l’oro e la recisione della falce.

Ogni rappresentazione porta con sé l’eterogeneità e sta alla tensione unficante – useremo la dialettica? – estrarre dal caos del “racconto” quanto ha forza detto mito del sacro nella vita nella biografia poi morte e quanto vale meno di un’ombra di scodella rimossa vuota dal tavolo.