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Nada e Bambino

:: Claudio Di Scalzo: Palmo spellato. Teologia poetica protetta da Gemma Galgani
20 Aprile 2017


Gemma Galgani

 

Claudio Di Scalzo

 IL PALMO SPELLATO

(una semplice teologia poetica)

 

PREFAZIONE

Questa fiaba cristiana può essere intesa se viene accettata la semplice teologia che base della salvezza, anche della poesia, è l’umiliazione. Come scrive Kierkegaard ne L’esercizio del cristianesimo.

(…) Allora, che ognuno, il quale si dice cristiano, possa provare, a te Cristo, se ti ama unicamente nell’umiliazione.

Se ti ama nell’abbassamento. Nell’umiliazione di cui tu ci hai dato l’esempio su questa terra.

Chi ti ama, benché sia umiliato, egli è elevato al di sopra dell’umiliazione; il suo animo, il suo sguardo è rivolto a quell’altezza in cui Tu Cristo sei entrato dopo la Croce e nella quale egli attende di entrare con te.

 

I

C’era una volta e ancora c’è, da qualche parte (anche se non è più possibile trovarla) nella campagna del Serchio col fiume vicino al mare, una casa contadina con tante stanze, dove abitava un Bambino e la sua Poesia.

Poesia che gli stette accanto fin dalla nascita di sette mesi a rischio di morire sottopeso e nel gelo di quell’8 dicembre 1952.

“Sembra un conigliolo spellato” disse il rude padre camionista per niente soddisfatto di quell’esserino debole  e con la pelle arrossata e maculata. Ma quella pelle che mancava, quella pelle arrossata attendeva quella della Poesia.

Ciò nessuno lo sapeva. Neppure la semplice madre sarta, con la quinta elementare, che dentro di sé si disse che forse aveva sbagliato il suo cucito più importante. Ma poi il bene materno le fece dire la frase bella della sua vita: “Nato nel giorno della Madonna se resiste fino a Natale quando nasce il Bambin Gesù di sicuro lo vede e lo salva anche per questi occhi scuri che sono tutta una poesia su di un corpicino tanto gracile. E fu così.

Il Bambino Spellato venne battezzato nella Poesia del Natale; ma anche nelle spine della Croce di Cristo. Però a questo nessuno ci pensò. Anche se sarà il sigillo di tutta la vicenda.

La pelle crebbe su ogni parte del corpo del Bambino: rosea e bianco latte.

Salvo che su di un palmo della mano sinistra. Dove si vedeva il rosso della pelle sottostante viva, pareva sangue.

Da qualche parte, si disse il Bambino crescendo, c’è una ragazza che ha come me questa spellatura, quando la troverò, facendo combaciare le rosse pelli avrò trovato l’amore assoluto.

 

 

II

Nella casa dove abitava il Bambino cresciuto con la spellatura, ma rimasto bambino un po’ come teorizzato dal “bambinone” di Castelvecchio in Garfagnana, la Poesia nasceva con la facilità del neonato che sugge il latte dal generoso seno materno. Tutto avveniva con semplicità evangelica. È proprio il caso di dire.

Un lembo di stoffa della sarta, una cordicella per stringere il fieno, un martello per raddrizzare i cerchioni del camion paterno, un piccione sulla grondaia, un pipistrello entrato per caso nella soffitta, un topolino ghiotto di formaggio in cantina lungo le botti del vino novo, una lucertola nella crepa del muro, il verde aghiforme del pino, quello placido del noce, quello elegante della magnolia, la voce del vicino di casa che chiama il cane, le campane per i matrimoni e per le morti… tutto diventava Poesia in quella casa senza che ci fosse bisogno di qualcuno a spiegare come nasceva, come dovesse nel futuro ancora nascere, che significato avesse, come dovesse essere pubblicata fatta conoscere diventare la più importante in circolazione.

Era semplicemente poesia per viverla lì, in quella casa; e le persone che la ricevevano, i familiari del Bambino spellato, alcuni vicini, le davano la stessa importanza di un pane ben cotto, di un frutto maturo, di un gelato gustoso; e a volte scoprivano, in essa poesia, spine, dolore, scacco, esattamente come accadeva nella vita di tutti i giorni: se una persona si ammalava, se moriva qualcuno, se un amore finiva.

A volte, anche se molto raramente, forse informati da qualche cultore di eccentricità (anche se la casa del Bambino Spellato non era affatto eccentrica bensì un’umile casa di campagna come tante) capitavano poeti  e poetesse. Ai quali il Bambino Spellato cresciuto faceva conoscere le stanze della casa, le scatole contenenti poesie e poemi e racconti manoscritti, cassetti con files stampati, gli armadi custodenti tele e dipinti, i disegni alle pareti, gli attrezzi da lavoro del padre camionista, la sartoria della madre con le stoffe colorate, e metteva tutto quanto  a loro disposizione se avessero voluto stare lì con lui; vincendo ogni timidezza, sentendo da subito quei poeti come dei compagni (molto spinto dall’entusiasmo per quelle visite che rompevano la sua solitudine) leggeva alcune sue composizioni, la sua poesia.

Di quest’ultima, candidamente, affermava che essa esisteva perché lui cercava l’amore di una donna che fosse assoluto,  e con una spellatura sulla mano come la sua.

I visitatori, poeti e poetesse, lo guardavano interdetti. Qualcuno aveva un sorriso di compatimento.

Ma lui proseguiva. Essendo nato di sette mesi, con la Madonna l’otto dicembre, e salvato nel Natale dal Bambin Gesù non posso che scrivere e disegnare per trovare un amore che duri per sempre.

I poeti e le poetesse ascoltavano distratti, davano un’ultima occhiata in giro, e capendo che il Bambino Spellato non aveva né contatti editoriali, né critici amici, né la minima entratura nella cultura, ripartivano con le solite frasi di circostanza. E non tornavano più!

Il Bambino Spellato cresciuto non capiva perché non si facevano più vivi. Pensava che raggiungere la sua casa in campagna fosse disagevole anche per i più volenterosi; e poi tra quelle mura c’erano animali che potevano spaventare: come salamandre, civette, pipistrelli, calabroni, faine nell’orto, e anche un cane del vicino che abbaiava di continuo.

L’ingenuo non capiva che i poeti e le poetesse, giustamente interessati a una carriera che premiasse quello che per loro era un lavoro, di una persona come lui Bambino Spellato cresciuto, senza che fosse pubblicato antologizzato commentato interpretato, senza una riconosciuta attività culturale intellettuale, non sapevano che farsene!

Se a volte qualche poetessa si fermava, in quella casa, per un certo lasso di tempo più grande di fuggevoli ore o di un giorno, coinvolta da quella vita così estrema in poesia, di quel Bambino Spellato cresciuto, prima o poi anch’esse se ne andavano.

Il motivo era semplice. Anche la poetessa più gentile, non capiva né accettava che lì c’era la stalla povera della poesia, nel suo abbassamento, simile a quella dove il Cristo nasce, in totale umiliazione, e che la poesia nasceva in semplicità dentro un disegno non rivelato né rivelabile: però poesia per tutti coloro che avessero voluto conoscerla senza averla studiata nei libri, o interpretata dai saggi. Poesia sorgiva. Insomma. Dove i sacerdoti, i farisei, i mercanti proprio non servivano!

Anche la poetessa più gentile non capiva né accettava che lì, accanto alla stalla,  c’era la Croce dove Cristo soffre e muore e non un’estetica da esporre in qualche tempio con frontoni dorati.

Il Bambino Spellato cresciuto, dunque, vide andare via le poetesse delle quali si era innamorato.

E capiva che avevano vissuto una vacanza. Con lui. Le salutava dal cancello verde del cascinale, con il palmo spellato che non aveva trovato il suo simile in una donna.

 

 

III

In un giorno freddo, freddissimo, in quelle stanze non riscaldate, era il 9 gennaio, il Bambino dal palmo spellato era infermo; anche perché l’età ormai era quella delle tempie grigie. E delle tante rughe sulla fronte.

Il Bambino-uomo-spellato stava sotto le coperte, battendo i denti per la febbre; e poi le tante disillusioni che gli venivano dal suo passato gli davano dolori lancinanti. Lo  scindevano. Allora, per la prima volta, con la testa tanto farfugliante e il petto che tossiva, si chiese che significato avesse per lui tutta quell’esistenza in poesia senza l’amore che aveva cercato inutilmente.

Il suo braccio febbricitante, con 39 o 40 di febbre, penzolava fuori dal letto. Sulla casa sul giardino sugli alberi nevicava.

A un certo punto sentì una pressione leggera, che gli dava una gioia infinita, come se tutta la poesia del mondo gli fosse giunta nel sangue senza bisogno di pensarla di scriverla di recitarla; si tirò su con la sudata schiena appoggiata alla testiera, e vide la Santa Gemma Galgani che posava il palmo spellato e piagato sul suo.

-Ora l’Amore Assoluto ce l’hai, disse Gemma Galgani. Mio e quello del Cristo sulla Croce.

Il Bambino-Uomo col palmo spellato fu così felice come non lo era mai stato. E pensò senza bisogno di scriverla né di recitarla la sua poesia più intensa. Perfetta.

Poi chiuse gli occhi. Sfebbrato. Senza sapere se moriva nella gioia o se entrava in un altro sogno dove non ci fosse necessità di passare un’esistenza intera in una casa di poesia come la sua. Per andare altrove e vivere altro, perché la sofferenza della Croce poetica era stata tutta, ma proprio tutta!, scontata, ottenendo l’amore cercato da sempre.

 

 


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