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Nada e Bambino

:: Rimbaud dalla Nada. A cura del su' figliolo Accio
04 Febbraio 2017

 
CDS: "NADA RIMBAUD" - 3 febbraio 2017

 

 

 

Claudio Di Scalzo

IL COMUNISTA RIMBAUD IN CASA DELLA NADA

In questi giorni di fine gennaio primi di febbraio in casa di mia madre, a Vecchiano, è venuto Arthur Rimbaud. È apparso con la sua bombetta perché lo stavo traducendo come un comunista che cercò di annientare (e ne fu annientato) l’orgia bolsa della cultura che già allora produceva gerarchie vendite sconti genuflessioni schiavitù mercantili.

Non ho sentito contraddizione tra l’accudire mia madre in pericolo per il cuore e tenere in tasca un’edizione francese delle Illuminazioni e di Una stagione all’inferno. Le corsie d’ospedale, le medicine, le strutture atte a contenere e guarire dal dolore, mi sono apparse per quello che sono un perfetto e a volte sgangherato mezzo di produzione capitalistico dove si opera si livella si assiste si aiuta si mortifica il dolore i corpi i linguaggi su di essi rappresi. Ma anche la cultura è un mezzo di produzione capitalistico spettacolarizzato, oggi sul web, dove si spargono merci in forma di linguaggi parole che s’ignudano che si mostrano nei vari dolori e fantasie di godimento chiedendo letture, recensioni, custodia, attenzione.

Nell’ospedale chirurghi, primari, medici, infermieri, portantini, impiegati,… nell’ospedale della cultura lo stessa gerarchia: tra autori e critici e poetesse e poeti; di vario conio, si va dai principianti a chi si ritiene adatto a dirigere un reparto… tutti indaffarati a vendere accudire prodotti per i ricchi per i poveri per i disperati da social per i raffinati che gradiscono conoscere sia i tanti moderati che i pochi ribelli delle arti. I santi delle arti, che a questo punto sono elevati sull’altare di citazioni ruffiane in similoro.

In questi giorni invernali Rimbaud sta con me in corsia. A parlare coi medici. In farmacia.

Rimbaud è con me perché, sia detto esplicito, io sono un comunista.

Certo eterodosso certamente nutrito da ogni eresia più o meno secolare, certo ai tempi di Stalin sarei finito nel gulag se prima non mi facevano fuori i nazifascisti,… però una cosa è certa: io sono un comunista. Un comunista che ha avuto la ventura di scrivere disegnare anche fotografare. Ma un comunista che seppur abbia quasi scritto sempre d’amore e non di politica, la sua politica ce l’ha chiara fin da quando aveva diciassette anni: la Rivoluzione comunista dovrà sovvertire anche ogni ideologia feticistica e alienante che sta nelle arti e nelle culture del capitalismo.

Per questo ho traversato diciassette anni di web. Fino all’Olandese volante. Non ho mai scritto e disegnato fotografato per diventare, o essere accreditato scrittore pittore fotografo. Non me ne importa nulla. Nemmeno di vendere quanto invento. E Arthur Rimbaud approva. Perché anche lui è comunista. Anche se quando lo ricordano viene espunta questa sua fiamma.

E se proprio dovessi rifilare delle merci, anche se ho una certa età, andrei a pescare orate per venderle al mercato. Non certo miei libri miei quadri.

E se non mi scambio con poeti e scrittori e intellettuali grandi e piccini, degni e indegni, miserrimi e capaci, è semplicemente perché per me sono “nemici di classe”. Sono artefici ognuno col suo coriandolo pece della notte imposta ai flussi del desiderio e delle libertà. Non riconosco loro alcuna “autorità” né mi convince quanto scrivono e disegnano fotografano. La loro merce non fa presa sul mio immaginario. Non mi serve all’idea che ho di rivoluzione in estetica e nel linguaggio.

E questa gente colta e ben nutrita ognidì da genuflessioni e dialoghi e scambi culturali tra i più vari, poi finisce per accudire, curare, pubblicare, i martiri e i comunisti, che l’ideologia feticistica della cultura capitalistica fece morire e soffrire, come i Campana, i Boine, i Modigliani, allora ciò mi disgusta: gli eredi di Papini e Soffici e Prezzolini con i loro blog e siti altisonanti e preziosamente culturali dove si officia ognidì la messa blasfema delle citazioni, … vogliono nelle loro celle frigorifere anche i nomi e cognomi dei suppliziati. Anche per questo l’ultima avventura dell’Olandese Volante terrà complici e amici i Boine i Campana i Modigliani i Gauguin i Majakovskij. Compagni. A partire da Arthur Rimbaud.

In ogni caso un milione di poetanti da web e da blog e da sito pomposo non vale un virgola di Rimbaud. Che a venti anni smise di scrivere. Infischiandosene d’ogni schiavitù letteraria. Meglio vendere bestie e uomini che rendere bestie le persone che scrivono e bestialmente servili gli empiti di autodeterminazione.

Su questo Comunismo ho preso a tradurre Rimbaud. E allora per certe poesie, tradotte fedelmente, è bastato come in il “Barbaro” o “Promontorio” dalle Illuminazioni, aggiungere a "Padiglione" la parola web a "Promontorio" la parolina ancora web e Rimbaud descrive esattamente l’Inferno della cultura alienata e mercificata ossessivamente oggi. Sui social, sui blog, sui siti, nelle case editrici a pagamento e non a pagamento, nei corsi di scrittura, nelle recensioni tu-scrivi-di-me io-crivo-di-te, e tutto mentre “la carne sanguinante” gocciola. (“Barbaro”, Illuminazioni, XXIX)

A questo punto, per l’ultima avventura dell’olandese volante, ho pensato che fosse necessario, come suggerisce Rimbaud nelle poesie che mi ha permesso di tradurre in modo comunista (lui che appoggiò i rivoluzionari della Comune di Parigi non scordiamolo!) di tentare l’azzardo estremo di rendere mia madre, Nada Pardini, nella parola - con studi modestissimi e linguaggio che s’avvicina anche ora per le sue sofferenze affidate a monologhi a stupori ad innocente corpo malato dinanzi al nulla - interprete con me di questa Ultima Rivoluzione. Perché gli antenati di Rimbaud rivendicati nella “Stagione all’inferno”: i barbari i galli sono parenti degli etruschi e dei saccheggiatori di mare di mia madre. Bisogna attingere al loro linguaggio. Foss’anche un balbettio nel supplizio della perdita di sé.

Tendo ad avere a breve, dunque, il linguaggio minimale ferito dolorante di mia madre nella mia scrittura e pittura. Mi nego ad ogni cultura dell’oppressione e del servaggio. Percorrerò a ritroso questo Inferno che a tutti impone il capitalismo che spossa e affossa e rende cosa ogni parte dell’essere, fino al balbettamento al segno espressionista senza contorni fino al click fotografico sopra ogni ruga del reale. Fino alla cessazione, possibile, di ogni segno visibile.

Perché il Comunista Rimbaud se l’avessi letto meglio, a diciassette anni, m’avrebbe consigliato di non imbarcarmi in nessuno scritto pittura fotografia. Ma dato che ciò è accaduto, e me ne pento!, il veliero L’Olandese Volante, può affermare: “È deciso si muore” (copio Gauguin) “col vestito migliore” aggiungo.

E il vestito migliore non sono poemi e racconti e quadri da esporre ma la loro cancellazione! Per acquisire, osmosi?, un linguaggio originario che le plebi ebbero nella rivolta totale. Affinché da questo sacrificio, chi verrà dopo, possa magari, ripartire da qui, e tentare assieme a tanti altri la Rivoluzione politica e nei segni necessaria per uscire fuori dalla barbarie capitalistica. (Vecchiano, 3 febbraio 2017)

 



 


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