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Nada e Bambino

:: Claudio Di Scalzo detto Accio: Lalo era mio padre
18 Gennaio 2017

 

 

 

 

Claudio Di Scalzo detto Accio

LALO ERA MIO PADRE. È IL MIO MAESTRO

(piccola epica tra fumetto e racconto popolare)

Il primo nome di mio padre all’anagrafe era Libertario. Angelo, mio nonno, che verrà ucciso dai fascisti sulla via da Pisa a Vecchiano a inizio anni trenta, così l’aveva chiamato per ricordare i pregi dell’anarchia; a un altro figlio, però, aveva dato il nome di Lenino, perché Lenin, bolscevico, e con un partito che non vedeva di buon’occhio l’anarchia, aveva pur fatto la prima Rivoluzione proletaria e questa andava difesa. Contro i fascismi. Il fascismo mussoliniano impose ai due fratelli, d’autorita, con le armi spianate, di cambiare nome all’anagrafe. Mio padre scelse di chiamarsi Lalo. Come il musicista del quale aveva sentito alcuni dischi da parenti emigrati in Francia. La musica non si può imprigionare. Si disse. Lenino invece fu virato dall’impiegato con la cimice fascista sulla giacca, più prosaicamente, in Beppino. E anche Lenino-Beppino, zio, sarà importante per la mia vita perché mi ospiterà nei suoi alberghi messi sù nel secondo dopoguerra. A Parigi - ai tempi del '68 e anni seguenti - a Londra, a Viareggio.

Lalo rinominato, giovane e intrepido, per opporsi al Fascismo si nascose nel Padule, nel Lago di Massaciuccoli, oggi Lago Puccini di Torre del lago. Vecchiano  paese sta sull’altra sponda. Lì era imprendibile. E gli sgherri fascisti non s’avventuravano a entrare nel padule. Non sarebbero tornati. Mio padre aveva una doppietta e un coltello. E sapeva usare le sue armi.  

Per stanarlo sequestrarono la famiglia. Se non si fosse consegnato l’avrebbero torurata. Lui si consegnò. Subì tortura. E fu spedito ventenne in guerra in Albania perché lì morisse. Invece si salvò dalla trappola. Disertò. Si unì alla resistenza albanese contro il nazifascismo. Dopo l’Otto settembre tornò in Italia, nel suo paese, Vecchiano, ma non rivelò la sua presenza. Si nascose nel cimitero. Nel loculo della sorellina che era morta di tre mesi. Lì stava nascosto di giorno per uscire di notte nella sua solitaria resistenza. Facendo saltare autoblindo, sabotando, scrivendo sui muri frasi inneggianti alla libertà. Il giorno la madre fingendo di pregare gli portava del cibo. Che posava tra i fiori. Fascisti e nazisti - Pisa non era stata ancora liberata, lo sarà nell’estate del 1944 - lo cercavano per fucilarlo. Ma non lo trovavano. Era un'ombra fuggevole. Un eroe da romanzo.

La notte scansando ronde per la sua lotta individuale posava un fiore sulla finestra, dell'altra donna che sapeva della sua presenza, quella che sarebbe diventata mia madre, Nada Pardini. Figlia del più fascista di tutti in paese. E che morirà di spavento o forse di crepacuore vedendo arrivare i partigiani e l’armata americana.

Giunta la Liberazione mio padre, antifascista e antistalinista, poserà il mitra. Poi sposerà la Nada, sarta, e io nascerò di sette mesi l’otto dicembre 1952.

 


CDS davanti al manifesto per il Convegno dedicato a Franco Serantini
Foto di una compagna di passaggio.

 

 

Mio padre sta anche nel romanzo, il primo, di Antonio Tabucchi, “Piazza d’Italia”. Con il nome di Garibaldo. E poi nel mio romanzo epistolare, “Vecchiano un paese. Lettere a Antonio Tabucchi”, del 1997, stampato per i tipi di Feltrinelli. Accettai la pubblicazione perché potevo ricordarlo assieme ad altri nomi paesani non illustri. Meccanici, carnevalai, operai, pescatori, barbieri. Rompendo la regola che m'ero dato di non rendere quanto scrivevo feticcio in danaro presso grandi editori. Ma è stato soltanto per questa occasione. Poi me ne sono venuto dalla grande editoria.

Antonio Tabucchi ha scritto anche sulla morte di mio padre nel giugno 1995 in "Campane del mio villaggio". Illustrato con dipinti di Davide Benati.

Lalo è il mio maestro. Perché anch’io, da una vita, sto in un cimitero. Che poi è quello della letteratura dell’estetica con i suoi nomi le sue tombe grandi e piccole. Con alcuni nomi che omaggio e rispetto. E parecchie che ignoro. Sto in un loculo e poi a notte esco e compio le mie scorribande. Partigiane. Questo loculo ce l’avevo anche sull’OLANDESE VOLANTE. Da qui come ho inteso l’avventura corsara. Un po' da graphic poem un po' da feulleton anche filosofico-sentimentale. 

E sono stato imprendibile come mio padre. Come mio padre ho subito tradimento. (clikka: L'agguato a gennaio). Ma ho anche imitato il gesto suo col fiore verso la donna a cui lo donava posandolo sulla sua finestra perché sapesse che l’amava.

Quanto ho scritto l’ho fatto per amore. Era questo fiore. Le donne amate sono state più di una. L’Olandese Volante conserva queste fioriture. Ma soltanto Karoline Knabberchen e Sara Cardellino "La donna che visse due volte nel cuore dello stesso uomo" le tengo con me come Maestre e Signore della mia vita!

Quanto ho scritto e disegnato e fotografato l'ho fatto mantenendomi fedele alla lotta anticapitalista. Anti-mercantile. Fino a questo gennaio e febbraio 2017 in cui L'Olandese Volante, per eventi dolorosi e decisamente imprevisti, cessa la navigazione. 

Lalo m'ha insegnato l'etica della fedeltà, e l'estetica del divertimento irriverente. Che poi ho scoperto dadaista e surrealista e situazionista. Lalo m'ha insegnato, e ciò è stato fondamentale, anche a sapermi difendere a mani nude da almeno due nemici, a sapermi accendere un fuoco, a saper fare nodi, a resistere al freddo, a resistere al dolore spirituale. A saper guidare  a 10 anni il camion OM 42 diesel.

Gli sono grato perché fin da piccolo sapevo che ciò era impartito come lezione ai guerrieri greci e lo scoprivo nei personaggi di Jack London. Dopo seppi che questo insegnamento stava negli scritti di Macintyre sulla comunità, e che appartenevamo al pensiero selvatico e a quello rivoluzionario eterodosso. 

In questi anni sono stato fedele all’avventura, anche politicamente, che iniziò la mia stirpe. E ciò mi ha reso irrimediabilmente lontano da ogni singolo o gruppo nominatosi intellettuale intento a antologizzare, giudicare, scegliere la materia letteratura. Non riconosco loro alcuna Autorità. Appartengo a un’altra storia. E quanto ho scritto disegnato fotografato - che per complessità e originalità i loro calchi novecenteschi supera - lo testimonia. E questo perché ho il mestiere del bracconiere, del nuotatore a farfalla, del camionista uso a viaggiare nella notte.  

Questa piccola epica - epica strapaesana telematica? con tinte da melodramma? - che ricordo, tanto inattuale, in questo gennaio tanto gelido, contiene tanto Tragico, tante sofferenze, tante perdite, tanti scacchi, tanti inferni domestici, e "mostruosità" che la poesia come la rivoluzione possono generare. Pure equivoci contiene questa piccola epica. Anche stoltezze, di Lalo, e mie. E per questo spero che ogni ombra sia ascrivibile a quella sorta di crudeltà in tutta bontà a cui accennò uno scrittore praghese. 

Aspiro a che quanto ho scritto ricordi - anche se so che ciò è impossibile - il coraggio da resistente di Lalo e il fiore che donava alla Nada; la purezza della suicida Karoline Knabberchen (1959-1984) - che rimanda a Kierkegaard e Schelling in religione - che Lalo teneva in gran protezione. Non chiedo altro. Dalla mia vita nella letteratura nell'estetica. E se essa, com'è accaduto per il racconto orale di mio padre, scomparirà pian piano perché non trova più chi lo custodisce, a me questo non importa. Perché con me l'Eraclito del "Tutto scorre tutto cambia" non ha vinto. Lalo e Accio sarebbero piaciuti invece a Parmenide. Che filosofò l'Assoluto e quanto vale per sempre. Anche oltre la morte. 

 

 VECCHIANO TRANSMODERNA

 

 


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