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:: Ralph Dutli: Ritratto dell'artista Bruno Ritter
28 Novembre 2015

 

 

 RALPH DUTLI

(sito dello scrittore)

Ritratto dell’artista come uomo saggio  e abitante del suo variopinto caos.

Oltre le frane -  momenti di introspezione: un ritratto del pittore BRUNO RITTER 

Introduzione alla mostra nella Kulturgaststätte Sommerlust“ di Sciaffusa

domenica 20 maggio 2007

 

Andai a trovare Bruno Ritter un giorno a marzo. Avevo ricevuto da un’agenzia un po‘ particolare un incarico ancor più singolare: tenere una serie di letture in un lussuoso albergo di Pontresina dal titolo solenne: “I poeti leggono in hotel“ .

Durante il giorno mia moglie ed io ce ne andavamo contenti a fare passeggiate sotto il cielo blu elettrico dell’Engadina e di sera, dopo aver mangiato come dei pascià, alle 21 in punto io dovevo guadagnarmi il soggiorno come “lavapiatti poetico“ nella sala da bridge. Avevo il compito di far arrivare all’orecchio di signore stra-straricche, probabilmente  mogli di grandi industriali, che sedevano al bar aspirando voluttuosamente dai loro sigari e che erano stanche, ma  interessate all’argomento, la straordinaria bellezza della mia poesia.

 

Già la prima sera telefonammo a Bruno. Non eravamo proprio disperati, ma avevamo assolutamente bisogno del suo umorismo, della sua arte e del  suo fare diretto e spontaneo.

Il mattino seguente l’automobile di Bruno spuntò, tutta ammaccata e impolverata, all’ingresso sfarzoso del principesco hotel, guardata con sospetto dai portieri allibiti e dagli ospiti sbalorditi che la fissavano come se un ufo fosse atterrato in Engadina.

 

 

A quel punto ce ne andammo tutti e tre per la strada che Bruno fa tutti i giorni, uno dei percorsi più avventurosi che ci siano. Lui vive a Maloja, nel Canton Grigioni, che si trova non lontano dal lago di Sils dove Nietzsche  amava passeggiare. Un lago circondato da cime maestose, uno scenario grandioso per un pittore.

In effetti la montagna getta da anni la sua ombra e la sua luce mutevole sulle tele di Bruno.

Ma lui vive veramente solo fra le montagne? Ogni mattina sale in auto e prima percorre i diciassette tornanti verso la Val Bregaglia, giù, fino a Casaccia; poi prosegue per la valle nata da frane di antiche ere geologiche: un viaggio tra le stratificazioni rocciose, un viaggio attraverso la storia della pittura.

 

Bruno parte da Maloja, ultima residenza del pittore delle Alpi Segantini, e passa per  Stampa, il paese di origine dei celebri Giacometti, che furono famosi soprattutto per  Alberto, l’artista che ha rivoluzionato la scultura e la pittura del Novecento. E giù ancora,  dove sotto i detriti e sotto i resti delle frane sono sepolti paesi interi con la loro vita.

La Bregaglia è una valle scabrosa, caratterizzata da impressionanti crepacci dove si parla un dialetto difficile da capire: il bregagliotto, un miscuglio azzardato fra romancio e lombardo. Una sorta di lingua simile a roccia primitiva. Si dice che lì le persone parlino come se avessero la montagna in bocca.

Quando Bruno ha raggiunto il suo atelier a Chiavenna, che si trova a trentadue chilometri da Maloja, ha già lasciato alle sue spalle diverse frontiere e un dislivello di circa 1600 metri che lui di sera rifà tranquillamente in senso contrario, su, verso il cielo.

 

 

Andammo a trovarlo, come detto, a marzo. A Maloja, con i suoi 1900 metri, c’era ancora tanta di quella neve e sembrava che  l’inverno non se ne volesse proprio andare, mentre a Chiavenna, una bella cittadina a 300 metri con palme, cipressi e oleandri, era già  esplosa la primavera. Mi strofinai gli occhi: era troppo diverso, un contrasto così forte da perderci il senno.

Mi chiedo come Bruno riesca a sopportare tutti i giorni questa diversità tra Nord e Sud, questi improvvisi  crepacci, questa quotidiana alternanza tra il regno delle montagne svizzere innevate  e la cittadina dall’anima sfacciatamente italiana. Sostenere i contrasti è forse ciò che determina la sua vita e il suo progetto artistico. Bruno ha dato a una serie intera di quadri il titolo di  “Il pendolare” – “Der Pendler”: per lui una fase creativa e un momento  in cui essere pendolare riassume il suo modo di vivere. Anche nella mostra odierna c’è un rimando a questo: il meraviglioso “Pendler- Triptychon” con montagne, sedia di paglia e un guazzabuglio di pennelli.

Bruno Ritter oscilla continuamente tra Nord e Sud, tra l’astratto e un figurativo ricco di dettagli. E’ contemporaneamente un severo “re delle Alpi” e un ambasciatore del linguaggio che trae ispirazione dalla pittura italiana.

 

 

Bruno è per me la pittura fatta passione, un pittore sanguigno, uno che è sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, che non evita né le discordanze cromatiche né i contrasti di colore, ma che vi si immerge, li analizza e li sviscera  con grande energia e vitalità. E‘ un esploratore delle stratificazioni pittorico-geologiche del mondo alpino, degli abissi dell’anima, delle catastrofi esistenziali. E‘ un pittore inquieto, sempre proiettato verso nuovi temi, tecniche e espressioni, del quale però non si deve dimenticare  la sottile arte dell’umorismo e dell’autoironia. Anche nella nuova mostra ha in serbo  straordinari contrasti e sorprese:alcuni anni fa  quadri astratti di grandi dimensioni pieni di movimento, vivacità e di pennellate potenti ed ora, improvvisamente,  quadri più tranquilli. O  tranquilli solo in apparenza. Con il concetto classico di „natura morta“ questo pittore ha poco a che fare: sotto la superficie dei suoi quadri, che rappresentano  interni dell‘atelier e di chi ci lavora, dettagli del  variopinto caos del suo studio  nel Castello di Chiavenna, c’è sempre molto fermento.

Non crediate che queste nature morte solo apparenti siano espressione di  tranquillità e pacatezza: piuttosto ci mostrano un atelier che sembra una scoscesa vallata alpina dove regna un’allegra confusione con splendidi tocchi di colore.

Date un’occhiata ai dettagli: non si inseriscono nella composizione in modo canonico e il caos, che vive di una tensione interiore tipica di questo artista, è realizzato con molto azzardo.

 

 

Utilizzando molti colori allegri, Bruno si concentra nei suoi quadri sulle cose di tutti i giorni, sugli strumenti simbolo della sua passione per la pittura: semplici attrezzi, barattoli di colori, spatole, tubetti, ammonticchiati da sembrare una catena alpina e  che diventano  strumenti- testimone  della tensione creativa.

Contemplativo, ma attento, è lo sguardo. Controllata, ma sempre istintiva, la pennellata. Quella a cui Bruno si dedica è una natura morta che vive. Meditazione, introspezione e  carattere impulsivo non si escludono necessariamente l’un l’altro. Nelle sue riflessioni sulla mostra di oggi Bruno afferma: „ Il mio atelier è per me il luogo del ritorno in senso spirituale, il luogo in cui si concentra tutta la mia vita. Io ci entro tutti i giorni, vado  su e giù e, spostando gli oggetti da una parte all’altra, posso scegliere un percorso diverso da seguire.

La montagna di cose nel mio studio diventa continuamente spunto per far diventare lo spazio un  tema, per esplorarlo  e inserirlo in un quadro. Allo stesso tempo mi sorprende il fatto di riconoscermi lì dentro, di capire che io in tutto quel caos riesco a trovare un ordine.“

 

 

Il viaggio di oggi dentro il proprio atelier, che guardandolo gli potrebbe apparire improvvisamente sia estraneo che molto familiare, è comunque di nuovo il risultato di una ricerca pittorica. Questa è la foresta interiore del suo atelier. Ma non è una giungla oscura, stranamente è  invece inondata di luce e di colori allegri. Ovviamente non si tratta di oggetti che gli sono indifferenti, ma di elementi di vita vissuta che sono importanti per lui.

Ecco quello che dice di nuovo Bruno: “Certi oggetti mi sono diventati cari. La sedia di paglia, che col tempo si è sformata e che ormai si sta disfacendo, la uso da anni come sedia da regista. Anche il porta pennelli, la mia yucca e la mia scultura di legno, come tutti i quadri sui tavoli, sono sempre lì, in continuo mutamento. Tutto ciò fa parte della quotidianità nel mio studio. […] Sono ritratti, sono oggetti ai quali attribuisco una vita propria, che un tempo e anche oggi dovevano o devono assolvere a un compito e che possono tornare ad essere utili in ogni momento.”

E improvvisamente ci si rende conto che tra le vedute della Bregaglia e la contemplazione attenta di questo atelier c’è uno stretto legame, che la tensione fra gli oggetti è intensa tanto quanto quella dei crepacci della montagna, delle pecore finite in un burrone, dei corpi e dei visi solcati da fenditure che Ritter ha dipinto  tempo fa.

E si può anche intuire che la scelta del proprio atelier come tema dei suoi quadri sia una tappa importante, un momento di riflessione prima di un nuovo salto nell’ignoto.

 

Ma Bruno, nella nuova fase creativa, non si limita esclusivamente a ritrarre un  insieme di  oggetti inanimati dai colori vivaci. Ovviamente lì dentro ci sono anche persone, situazioni e figure tese e concentrate. Nella nuova mostra c’è una figura scura, seduta su una sedia, che dà le spalle all’osservatore. Il quadro affascinante si intitola semplicemente „Spalle“. Il viso non si vede, c’è  solo questa figura silenziosa vista da dietro. Forse rappresenta la pittura stessa, la pittura come “entità sconosciuta“ che in quel momento non si vuole scoprire, ma che, assorta nei propri pensieri, si chiede dove andrà a finire.

La tensione delle parole appena dette è percepibile nel quadro “Dialogo”, dove i tratti del viso dell’ interlocutore sono chiaramente riconoscibili, mentre quelli del pittore seduto sono  dissolti nella riflessione e nell’intensità del discorso. Non gli serve l’espressione realistica per rendere questa intensità: il viso scuro solcato dai pensieri è sufficiente a dare l’idea di un dialogo. Anche nella figura accovacciata in “Sara gioca” Bruno non ha bisogno di realismo per  rappresentare in modo estremamente  convincente una bambina completamente assorbita dal gioco. E nella raffigurazione astratta di due visi che danno emozione, il pittore concentrato sul proprio lavoro, e la figlia Sara concentrata sul gioco, si  crea un legame molto bello.

 

 

Tuttavia questo artista non si sottrae assolutamente dal guardare in faccia gli uomini e dal guardare se stesso. La serie di autoritratti rappresenta una delle parti più straordinarie della sua opera. Del resto Bruno ha già avuto a che fare con la tradizione degli autoritratti in serie e ha citato volentieri Rembrandt. Quando si rifà alla tradizione – come anche nel confronto con l’incisione di A. Dürer “Il cavaliere, la morte e il diavolo”, che per Bruno RITTER (cavaliere in italiano n.d.t.) è particolarmente importante -  non dimostra  solo uno slancio giocoso, ma anche grande serietà.

E’ la “drammaturgia del tempo e dell’apparire” che determina l’ opera di Bruno: il  suo tempo, il tempo fuggevole della vita, il tempo che nella storia della pittura diventa eterno.

Nei suoi  autoritratti ci colpisce il fatto che lui di proposito non si abbellisca. Non si dipinge come un giovanotto spavaldo, attingendo ai modelli di bellezza della pubblicità e della moda, piuttosto come un uomo molto vecchio con un viso pieno di rughe, un viso segnato dall’esperienza. Sono ritratti di un artista che è stato messo e che si mette continuamente alla prova. Molti pensieri si sono stratificati su questo viso, molti sguardi sono sprofondati in questi occhi e l’intera storia della pittura è diventata pelle, ossa, carne.

 

 

Talvolta si percepisce nel viso anche quel pizzico di follia che è presente in ogni opera d’arte che vuol definirsi tale.

Come scriveva Novalis, uno dei miei autori preferiti (una delle mie ultime raccolte di poesia si intitola “Novalis im Weinberg”) in uno dei suoi frammenti : “Ogni incantamento è una follia provocata ad arte”. E in un altro: “Follia e incantamento hanno molto in comune. Un mago è un artista della follia.”

Ogni pittore o poeta unisce in sé  l’arte di svelare  e l’arte di nascondere. Quindi è anche un mago che però sta ben attento a far conoscere all’istante tutti i suoi trucchi e le sue magie. Ci sono pittori che a venticinque anni hanno trovato la loro cifra stilistica e un tema e continuano a riproporlo per tutta la vita. Lo riproducono stancamente citando se stessi e non creano niente di nuovo. Bruno Ritter è esattamente il contrario: non si sa mai cosa ci riserverà la volta successiva, dove lo porterà lo slancio verso l’elemento impetuoso della pittura  che è carne e sangue, e con che cosa stupirà se stesso e ci stupirà. 

 

 

Oggi lasciatevi semplicemente sorprendere dalla nuova mostra appena aperta. Bruno Ritter non mancherà di affascinarvi e cogliervi di nuovo di sorpresa.

 

(Traduzione Federica Del Giorgio)

 

 


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