Home Page Olandese Volante
Home page Site map
::

:: AMIEL HENRI FRÉDÉRIC
21 Gennaio 2013

 
 
CDS: "Amiel intimo abbottonato" - 2013
 
 
 
AMIEL HENRI FRÉDÉRIC
 “'Frammenti di un giornale intimo”. Inizio e fine
 
Scrittore svizzero allattato alla lingua di Pascal. Nato a Ginevra nel 1821 e morto, sempre a Ginevra, nel 1881, con un'agonia impressa anch'essa su quaderno: tra assennata accettazione e interrogativi lancinanti. La famiglia del nostro “frammentista” era originaria della Francia, e protestante nel rapporto con il dio cristiano. Amiel si concesse i soliti viaggi perditempo dell'epoca, un grand tour verso Berlino invece che verso l'assolato sud, una sosta discreta nella città che predilesse il neoclassicismo per adornarsi, e dopo tornò a Ginevra, dove, nel 1849, ottenne la cattedra di estetica e nel 1853 quella di filosofia. Le fatiche universitarie gli fecero pubblicare Del movimento letterario nella Svizzera francese e del suo avvenire (1849), alcuni versi che appaiono raramente nelle antologie dopo la sua morte, ma che sarebbe utile conoscere per il rapporto che il diarista ha con il genere poesia, e traduzioni parecchio abbellite di poesie straniere. Dei suoi libri vengono ricordati soltanto i Fragments d'un journal intime, Frammenti di un giornale intimo (pubblicati per la prima volta nel 1883), di cui Bernard Bouvier ha dato nel 1923 un'edizione, per lui defatigante, che però comprende soltanto una parte dell'enorme manoscritto di 17.000 pagine, in cui sono raccolte le varie impressioni che l'autore annotava giorno per giorno.
Amiel negli anni Settanta venne riconsiderato anche per l'interesse verso il ginevrino di un altro geniale documentarista dell'inconscio che si sfrangia nel merletto: Roland Barthes. I contemporanei ci rimandano un Amiel a volte frenetico con ricadute nella poltrona del salotto; con curiosità enciclopediche, ma preda di varie morbosità che ogni analista incasellerebbe nelle tipologie della nevrosi soffice. L'inquietudine che lo colpiva lo fece, ovviamente curvare su se stesso, come un salice autopiangente sulla scodella della scrittura, in interminabili analisi dei propri sentimenti e di quelli, di rimbalzo, che intuiva negli altri. Un occhio che gocciola lampi di sguardi amari, sottili, taglienti, e molto, ma molto ripetitivi.
Henri-Frèderic Amiel è l'espressione di un “male del secolo”, ottocentesco, l'introspezione dolente con il cannocchiale dello sfinimento estetico, in una delle infinite varianti, il Diario assoluto, la cui indagine inizia con i romantici tedeschi. In questa scheggia, occasione per una lettura rapida sul web, ri-pubblichiamo l'inizio e la fine, una manciata di diario, dalla vita di questo illustre indagatore della propria miniera altrimenti detta freudianamente IO (rimpallo) ES.
 
Claudio Di Scalzo
 
 
 
 
 
 
MANCIATA DI “FRAMMENTI DI UN GIORNALE INTIMO”

L'INIZIO E LA FINE
 
24 giugno 1839 - … Quante cose alla volta vorrei leggere e imparare! Tante, che mi cadon le braccia dallo scoraggiamento e rimango davanti al mio compito, senza potermi risolvere a limitarlo e d'altra parte senza osare di mettermi all'opera. Grave difetto: altra cosa da correggere...
8 ottobre 1840 - …Oggi al calar della notte, mi sono messo a riflettere sopra un sistema di vita, sopra un immenso piano di lavoro, che saremmo pur tentati d'intraprendere, se potessimo dimenticare che disponiamo soltanto di forze umane. Natura, umanità, astronomia, scienze naturali, matematiche, poesia, religione, belle arti, storia, psicologia, tutto deve rientrare nella filosofia, così come io la concepisco... Poi degli scrupoli mi hanno stretto la gola. Studiare ciò che è, comprendere e anche trovare la ragione di ciò che si è fatto, è utile? Allargare la mia intelligenza, capire tutto, quand'anche vi riuscissi, non è forse uno scopo personale, un godimento egoistico? Come servire al mondo? Non forse trovando un'idea nuova, piuttosto che agitando tutte le idee create? E rispondevo: Una volta compresa l'idea di Dio, determinato il compito dell'umanità, la mia opera sarebbe di farli conoscere, il mio dovere mi chiamerebbe a dire al poeta, alla scienza, alla musica, alla filosofia, a tutto ciò che fanno gli uomini: ecco il vostro compito, ecco la vostra destinazione...
...Ogni giorno noi lasciamo per via una parte di noi stessi. Tutto sparisce intorno a noi, volti, parenti, concittadini; passano in silenzio le generazioni; tutto cade e se ne va, il mondo ci sfugge, le illusioni si dileguano; assistiamo alla perdita di tutte le cose e non basta: perdiamo noi stessi; siamo oggi così estranei al nostro io passato, come se non fossimo più noi; quello ch’io ero qualche anno fa, i miei piaceri, i miei sentimenti, i miei pensieri, non lo so più; il mio corpo è passato, la mia anima è passata anch’essa, il tempo ha portato via tutto. Assisto alla mia metamorfosi, non so più quel che ero, le gioie della mia infanzia, non le posso più comprendere, le osservazioni, le speranze, le creazioni della mia giovinezza sono perdute; quello che avevo sentito, quello che avevo pensato (il mio solo bagaglio prezioso), la coscienza della mia esistenza d'un tempo, tutto è inghiottito nel passato. E’ un pensiero di una malinconia senza pari. Ricorda le parole del principe di Ligne : “Se ci si rammentasse di tutto quanto si è osservato e imparato nella vita, si sarebbe pur saggi!”. Questo pensiero basterebbe a far tenere un giornale assiduo.
Berlino, 4 febbraio 1846 - ...L'uomo che ora mi sembra abbia meglio realizzato il mio tipo è Krause, perché in lui idea, bellezza, amore sono in armonia, equilibrati, coordinati e non assorbiti nell’intelligenza pura (Hegel, Schelling)
 
 
 
 
25 aprile 1881 (ore nove di mattina) - Sopravvivo, ma il pericolo non è diminuito e la partita non è rimessa. Non posso ancora né dormire, né respirare, né mangiare, né parlare; ed esisto come un’ombra.
Ieri, domenica, le visite ultime si sono succedute. Ciascuno mi credeva in fin di vita...
Io ero pronto a finire nella giornata e m’ero disposto a dormir in pace. Mi hanno ammirevolmente curato, vegliato, circondato, soccorso ad ogni istante. E se sono ancora qui, è una bella forza di vittoria contro la natura. Ma che esercizio di pazienza per un povero malato, che non ha più una forza intatta e non un'ora buona su ventiquattro.
26 aprile 1881 - Il supplizio continua. Notti estenuanti, giornate esasperanti, niente sonno, niente appetito. Il solo lato buono della mia situazione è costituito dalle testimonianze d'interesse che si moltiplicano...
Non ho più forza per nulla. Non so dove sedermi, non posso reggere la penna. Non ho voce, non ho più muscoli.
27 aprile 1881 (ore dieci di mattina) - Debolezza inesprimibile.
Eccomi sulla ruota da dodici settimane, e l'angoscia, le palpitazioni non lasciano tregua. Non ho più che la pelle sulle ossa.
Notte solenne. Sono rimasto stupito di sopravvivere. E a che scopo? La mia figlioccia sostiene bravamente la sua veglia e tre persone qui non vivono più che per curare la mia malattia.
Ma il deperimento cammina a gran passi e l'esistenza diventa una tortura, che ha qualcosa d'infernale. - Persisto nella rassegnazione e nella pazienza, mentre muoio di fatica e di sonno...
28 e 29 aprile 1881 - Giornate di miseria, tali che non posso nemmeno più reggere il peso della penna. In compenso le testimonianze di simpatia e d'interesse abbondano. Ricevo fiori, gelatine, lettere, affettuosità, da parte d'amici talvolta assai lontani.
La mia figlioccia mi fa la lista delle visite ricevute; mi serve da factotum, da segretaria, da lettrice. La madre e la figlia rivaleggiano in zelo da tre mesi e non accettano ancora nessun aiuto, nessun sollievo.
 
Il Giornale intimo s'arresta a questa data, con quest'omaggio all'amicizia. Dopo tante sofferenze ed angosce Amiel entra in una lenta e silenziosa agonia; un'estrema debolezza l'invade a poco a poco, ed egli spira dolcemente il martedì 11 maggio, verso le sei del mattino.
Traduzione di C. Baseggio, Utet, 1967


Commenti COMMENTI


Documenti Correlati DOCUMENTI CORRELATI