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:: De Maistre: Spedizione notturna
07 Gennaio 2014

  

CDS: "F. X. De Maistre per Archeologia editoriale, 1" 

 

 

François-Xavier De Maistre 

 SPEDIZIONE  NOTTURNA INTORNO ALLA MIA CAMERA

 

Capitolo I

Volendo offrire qualche attrattiva alla nuova camera dove ho compiuto una spedizione notturna, rendo edotti i curiosi come questa mi sia toccata. Incessantemente distratto dalle mie occupazioni nella strepitante casa che abitavo, da molto mi ripromettevo di trovare un rifugio più in pace nelle vicinanze, quando, un dì, leggendo una nota biografica sul Buffon, scoprii che quest’uomo illustre aveva scelto nei suoi giardini un chiosco isolato, contenente come mobili semplicemente uno scrittoio sul quale lavorare e nessun altro testo se non il manoscritto al quale si stava dedicando.

Le fantasie di cui mi occupo sono molto diverse dagli studi immortali del Buffon, tanto che il pensiero d’imitarlo, sia pure in una piccola questione, non mi sarebbe di certo venuta in mente senza l’incidente che mi sospinse a seguirne l’esempio. Un domestico mentre era intento a togliere la polvere sui mobili, s’intestardì a vederne anche, e molta, sul pastello da me appena terminato, motivo che lo spinse a usare il panno premurosamente fino a togliere tutta la “polvere” da me con fine impegno deposta. Dopo essermi infuriato contro di lui, mentre era assente, e dopo aver taciuto quando ritornò, secondo la mia abitudine mi misi senz'indugio  al lavoro e rientrai in casa con la chiave di una piccola camera che avevo preso in affitto, al quinto piano, in via della provvidenza. Nello stesso giorno vi feci trasportare gli strumenti delle mie occupazioni preferite e vi passai in seguito buona parte del mio tempo, lontano dal baccano domestico e dai solerti pulitori di pastelli. Sembravano le ore minuti, per me, in quella stanza segreta, e spesso le fantasticherie lì vissute mi hanno imposto persino di dimenticare, lassù, l’ora di pranzo.

Oh dolce solitudine! ho appreso le magie con cui inebri i tuoi amanti. Infelice la persona che non può stare un giorno solo della sua vita senza provare l’uggia della noia, e che preferisce, se occorre, chiacchierare con gli sciocchi piuttosto che con se stesso!

Pure, lo confesserò, mi piace l’isolamento nelle vaste città; ma, a meno d’esservi costretto da qualche grave circostanza, come un viaggio intorno alla mia camera, non voglio essere eremita che il mattino; la sera mi piace rivedere dei visi. Gli inconvenienti della vita sociale e quelli della solitudine si elidono così vicendevolmente, e questi due modi di vivere sono resi piacevoli dal loro contrasto.

Ma l’incostanza e il destino riguardo alle cose umane sono tali, che l’intensità stessa dei piaceri di cui godevo nella nuova dimora avrebbe dovuto suggerirmi quanto sarebbero stati di breve durata. La rivoluzione francese che tracimava da ogni parte, aveva da poco valicato le Alpi e si dirigeva sull’Italia. Fui trascinato dalla prima ondata fino a Bologna; conservai tuttavia il mio romitaggio, e vi feci trasportare in attesa di tempi migliori  tutti i mobili che possedevo. Da qualche anno ero senza patria; un terso mattino appresi anche che ero senza impiego. Trascorso allora un anno intero a osservare uomini  e cose che mi piacevano, e a desiderare cose e uomini che non vedevo più, me ne tornai a Torino. Dovevo prendere una decisione. Uscii dall’albergo “della Buona Donna”, dov’ero allocato, con l’intenzione di restituire la cameretta al proprietario e disfarmi dei mobili.

Tornando in quel romitaggio fui assalito da sensazioni difficili da descrivere: tutto ero nello stesso ordine, e cioè nel disordine nel quale l’avevo lasciato; i mobili accatastati contro le pareti erano rimasti al riparo dalla polvere grazie all’altezza dell’appartamento; le penne stavano ancora nel calamaio asciutto, e trovai sullo scrittoio una lettera iniziata.

“Sono ancora a casa mia”, dissi tra me e me con vero appagamento. Ogni oggetto mi ricordava qualche vicenda della vita, e la camera era tappezzata di ricordi. Invece di tornare all’albergo,  decisi di passare la notte in mezzo ai miei averi; mandai a prendere la valigia, e nello stesso tempo mi ripromisi di partire il giorno seguente, senza salutare nessuno e senza consigliarmi con chicchessia, confidando interamente nella Provvidenza.

 

Capitolo II

Mentre avvolgevo la mente in queste riflessioni, rallegrandomi di un piano di viaggio ben combinato, passava il tempo e il domestico non ricompariva ancora. Era un uomo che la necessità mi aveva imposto di prendere al mio servizio da alcune settimane e nutrivo qualche dubbio sulla sua completa fedeltà. Appena l’ipotesi che egli potesse trafugarmi la valigia mi balenò in mente già correvo verso l’albergo: era tempo. Svoltando l’angolo della strada che conduce all’albergo, lo vidi uscire precipitosamente dal portone preceduto da un facchino carico della valigia. Lui stesso reggeva la mia cassetta; e invece di svoltare dalla mia parte s’incamminava a sinistra nell’opposta direzione a quella che avrebbe dovuto prendere: le sue intenzioni erano manifeste. Facilmente lo raggiunsi, e senza far motto, camminai un po’ al suo fianco prima che si accorgesse della mia presenza. Se avessi avuto bisogno di dipingere l’espressione dello stupore e dello spavento portati all’estremo grado sul volto di un uomo, egli sarebbe stato un modello insuperabile. Ebbi tutto l’agio di completarne lo studio, poiché era talmente sconcertato dall’inattesa apparizione e dalla severità del mio sguardo che continuò a camminare per qualche tempo con me senza profferire parola, come se fossimo stati a passeggio insieme. Finalmente balbetto come scusa l’urgenza di un affare in via Dora Grossa; ma lo indirizzai nella giusta direzione e ritornammo a casa, dove lo licenziai.

Allora soltanto mi proposi di procedere a un nuovo viaggio nella mia camera durante l’ultima notte che dovevo trascorrervi, e mi occupai celermente dei necessari preparativi.

 

Capitolo III

Da molto tempo desideravo rivedere il paese da me percorso con enorme diletto, e la sua  descrizione non mi sembrava completa. Qualche amico, al quale era piaciuta leggerla, mi invitava a continuarla, e mi sarei deciso prima e non fossi stato separato dai miei compagni di viaggio. Riprendevo la marcia carico di rimpianti; ahimè, ricominciavo da solo. Avrei viaggiato senza il mio caro Gioanetti e privo dell’amabile Rosina. Anche la mia prima camera aveva subito una disastrosa rivoluzione; peggio ancora! non esisteva più. Le mura che la delimitavano facevano parte ora di una sbrecciata casupola annerita dalle fiamme: tutte le invenzioni omicide della guerra sembravano essersi riunite per annientarla dal soffitto alle fondamenta.(1)  La parete dove era appeso il ritratto della signora di Hautcastel era stata forata da una palla di cannone. Insomma, se per fortuna non avessi compiuto il viaggio prima della catastrofe gli studiosi di oggi non avrebbero avuto conoscenza di questa camera così degna di nota. Allo stesso modo, senza le considerazioni di Ipparco, essi oggi ignorerebbero che una volta esisteva, nelle Pleiadi, una stella in più, scomparsa dopo la morte del celebre astronomo.

Costretto dalle circostanze, avevo già da qualche tempo abbandonato la camera e trasportato altrove i miei penati. Poco male, direte voi. Ma come sostituire Gioanetti e Rosina? Ah, è impossibile. Gioanetti mi era diventato talmente necessario che non potrò rimediare alla sua perdita. Ma chi può, del resto, illudersi di vivere per sempre con le persone a cui si vuol bene? Simili a quegli sciami di moscerini che si vedono turbinare nell’aria durante le belle sere d’estate, gli uomini s’incontrano per caso e per breve tempo. Fortunati ancora se, nel loro rapido movimento, svelti come i minuscoli insetti, essi non si fracassano la testa l’un contro l’altro.

Una sera stavo andando a letto. Gioanetti mi serviva col solito zelo e pareva anzi più attento del solito. Quando portò via la lampada gli gettai un’occhiata, e scoprii un’accentuata alterazione nella sua fisionomia. Avrei dovuto immaginare che il buon Gioanetti mi serviva per l’ultima volta? Non terrò il lettore nell’incertezza lontana dalla verità: preferisco raccontare senza giri di parole che Gioanetti si sposò quella stessa notte lasciandomi il mattino dopo.

Ma non accusatelo d’ingratitudine per aver abbandonato il suo padrone in modo brusco: ero al corrente delle sue intenzioni e avevo avuto il torto di oppormi. Una persona con sommo zelo venne da me la mattina presto a darmi la notizia, ed ebbi tutto il tempo, prima di rivederlo, di montare su tutte le furie e di calmarmi, il che gli risparmiò i rimproveri che si aspettava. Prima di entrare in camera mia ostentò di parlare ad alta voce dal balcone, per farmi credere che non aveva timore, e armandosi di tutta la sfrontatezza che poteva assumere un’anima mite come la sua si presentò a me con aspetto risoluto. Gli lessi immediatamente sul viso quanto l’agitava in cuor suo, e non gli serbai rancore. I burloni di cattivo gusto dei nostri giorni hanno tanto spaventato la brava gente sui pericoli del matrimonio, che uno sposino novello somiglia a un uomo che sia appena incorso in una terribile caduta senza farsi del male, e che sia turbato insieme da panico e da soddisfazione, il che gli conferisce un’aria ridicola. Non c’era da stupirsi che gli atti del mio fedele servitore risentissero della bizzarria della sua posizione.

“Eccoti dunque sposato, caro mio!”, gli dissi ridendo. Non aveva preso precauzioni che contro il mio risentimento collerico, così tutte le sue difese andarono perdute. Ricadde subito nel suo stato abituale, anzi un poco più sotto, poiché si mise a piangere. “Che volete signore”, mi disse con voce alterata, “avevo dato la mia parola”.

“Eh, perbacco, hai fatto bene, amico mio. Possa tu essere contento di tua moglie, e soprattutto di te stesso. Che tu possa avere dei figli che ti somiglino! Dunque, bisognerà che ci separiamo!”

“Sì, signore, noi pensiamo di stabilirci ad Asti”.

“E quando conti di lasciarmi?”

A questo punto Gioanetti abbassò gli occhi, imbarazzato, e rispose con voce più bassa: “Mia moglie ha trovato un vetturino del suo paese, che ritorna con la carrozza vuota, e che parte oggi. Sarebbe una bella opportunità; ma... tuttavia... andrò quando piace al signore... sebbene un’occasione simile non si ripresenterà facilmente”.

“Eh! come? così presto?” esclamai.

Un sentimento di rimpianto e d’affetto, unito a una buona dose di disappunto, mi fece rimanere silenzioso un istante.

“No certo”, gli risposi, “non vi tratterrò affatto, partite subito, se vi conviene”. Gioanetti impallidì. “Parti pure, amico mio, vai a raggiungere tua moglie; sii sempre così buono e onesto come lo sei

stato con me”. Sistemammo qualche faccenda; gli dissi tristemente addio; e uscì.

Quell’uomo mi serviva da quindici anni. Un istante ci ha separati; e non l’ho più rivisto.

Ripensavo a questa brusca separazione camminando avanti e indietro nella mia camera. Rosina aveva seguito Gioanetti senza che se ne accorgesse. Un quarto d’ora dopo la porta si schiuse. Rosina entrò. Intravidi la mano di Gioanetti che la sospingeva nella stanza; la porta si richiuse e mi sentii stringere il petto. Non entra già più dove io sto! Pochi minuti  sono stati sufficienti per rendere estranei  l’uno all’altro due vecchi compagni di quindici anni. O triste, malinconica condizione dell’umanità, di non poter trovare un solo soggetto durevole in cui riporre il più piccolo affetto!  

(1) (La camera ricordata, teatro del precedente “Viaggio intorno alla mia camera”, era situata nella cittadella di Torino; la “Spedizione notturna” viene compiuta poco tempo dopo che gli austro-russi la conquistassero)

 

Capitolo IV

Anche Rosina a quei tempi viveva lontana da me. Ti interesserà certamente sapere, cara Maria, che all’età di quindici anni era ancora il più amabile degli animali, e che la stessa intelligenza superiore che la distingueva fra tutta la sua razza le servì anche a sopportare il peso della vecchiaia. Avrei desiderato non separarmene; ma, quando si tratta della sorte degli amici, si deve ascoltare il proprio piacere o il loro interesse? Quello di Rosina era di abbandonare la vita nomade che conduceva con me, per gustare finalmente nei suoi estremi giorni quel riposo che il suo padrone non sperava più. Era così anziana che dovevo farla portare in braccio. Stimai che le dovevo accordare la pensione degli invalidi. Una disponibile suora si incaricò di averne cura per il resto dei suoi giorni, e io so che in quel ritiro ha goduto di tutti i favori che le sue buone qualità, l’età e la reputazione le avevano consentito di meritare.

E poiché tale è la natura degli uomini che la felicità sembra non esser fatta per loro, infatti l’amico offende l’amico senza volerlo, e gli stessi amanti non possono vivere senza litigare; infine considerando che, da Licurgo ai nostri giorni, tutti i legislatori hanno fallito nei loro sforzi per rendere felici gli uomini, io avrò almeno la consolazione di avere reso felice un cane.

 

Capitolo V

Ora che ho fatto conoscere al lettore gli ultimi tratti della storia di Gioanetti  e di Rosina, non mi rimane che dire una parola sull’anima e sulla bestia per essere perfettamente in regola. Questi due per­sonaggi, l’ultimo soprattutto, non avranno più una parte così interessante nel mio viaggio. Un gen­tile viaggiatore, che ha seguito il mio stesso itine­rario (2), afferma che entrambi debbono essere stan­chi. Ahimè! ha ragione. Non che la mia anima abbia perso nulla della sua attività, per lo meno per quanto può accorgersene; ma le sue relazioni con l’altra sono mutate. Costei non ha più la stessa vivacità nelle risposte; non ha più... come posso spiegarmi?... Stavo per dire l’antica presenza di spirito, come se una bestia potesse aver­ne! Comunque sia, e senza addentrarmi in una spie­gazione imbarazzante, dirò soltanto che, trascinato dalla con­fidenza dimostratami dalla giovane Alessandrina, io le avevo scritto una lettera assai tenera, quando ne ricevetti una risposta gentile, ma gelida, che finiva con queste precise parole: “Siate certo, signore, che conserverò sempre per lei i sentimenti della più sincera sti­ma”. Giusto cielo! esclamai: sono perduto. Da quel giorno fatale presi la risoluzione di non proporre più il mio sistema dell’anima e della bestia. Di conseguenza, senza far distinzione fra que­sti due esseri e senza separarli, li farò procedere in modo che l’uno porti l’altro, come certi mer­canti portano le loro mercanzie, e viaggeremo in blocco per evitare ogni inconveniente.

(2) Riferimento ad un “viaggio” di autore anonimo titolato “Secondo viaggio intorno alla mia camera”   

 

...Continua

 

 

 

 

NOTA 

La Traduzione della "Spedizione notturna" di F.X. De Maistre comparsa nel 2007 sull'annuario TELLUS da me diretto e fondato, così come ogni altro testo, è di proprieta di chi scrive e la traduzione di chi la firma. Anche l'invenzione della rubrica "Archeologia editoriale" è a firma di CDS e chi la usa su carta stampata ed on line non ha il consenso dell'autore.


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