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:: Claudio Di Scalzo: Enrico Fracassi sul ponte
11 Marzo 2013

 
 CDS "Enrico Fracassi prende congedo dal libro" - 17 luglio 2011
 
 
 

 
Claudio Di Scalzo
 
ENRICO FRACASSI SUL PONTE
 
 
Quale ponte transita il suicida tra il visibile e l’invisibile per un attimo? E può il suo transito tra la confusione delle pagine scritte conservate, poche pochissime, e quelle distrutte, tante, tantissime, restare, anzi imporre, col gesto estremo, l’appartenenza alla Parola? C’è sempre nel suicida il trait d’union vibrante e sul punto di scollarsi tra Imbecillità e Morte, una tensione direi, dove il soggetto reale imita se stesso che sta diventando irreale, e cioè libro, pagina. Se il poeta realmente si uccide Imbecillità e Morte diventano altro. Si compenetrano. E solo il lettore, attento, ma molto attento, quasi un Custode, potrà dire cosa è, questo “altro”, se vede questo “passare” sul ponte. Leggendo. 
                 
Enrico Fracassi fu un poeta, romano, che a ventidue anni, nel 1924, si tolse la vita. Lasciando soltanto dodici poesie e distruggendo tutto il resto. Poesie che possiamo leggere perché prima Falqui in una plaquette da Scheiwiller e poi Anceschi e Antonielli le raccolsero in una antologia. (1953, Lirica del Novecento, Vallecchi).
                  
Fracassi ricorda una bocca, grazie alla luna sopra al monte Velino, una bocca che ha cambiato tante volte il suo umidore, in ogni caso non è per lui. La distanza non è colmabile. Il soggetto Fracassi c’è, e di li a poco il suo fantasma sul ponte c’è, perché andrà a uccidersi, ma la luna è nella sua ripetizione sempre differente e così la bocca ricordata. Il poeta istituisce una metafora e la sua Imbecillità a ricordare labbra tanto lontane la può mettere in questione, renderla sublime, vincerla, soltanto con lo statuto del suicidio. La questione è semplice, si prende la rincorsa o a passi lenti e si va dall’altra parte del ponte verso l’Invisibile. Il suicidio mette in relazione una bocca e la luna, un bacio dato ricordato e uno, tra i tanti, dimenticato. Per uscire da questa Imbecillità Fracassi sceglie di creare la sua vita pura e in poche pagine con il gesto più assoluto di furbizia.
                
Sottoterra, come scrive in “Congedo”, saprà se le sue ceneri avranno avuto requie. Se le “giunture” del suo corpo più non avranno bisogno del lucore di alcuna luna, di alcuna bocca umida e gelida, lontana, di alcuno spazio che non sia la sua intima esperienza con il Nulla o con un Dio pietoso del suo destino.
                        
Per me i poeti come Enrico Fracassi sono niente più, niente meno, che la Poesia. La istituiscono sul Ponte tra il visibile e l’invisibile. E lo fanno quando un poeta o un artista o comunque qualcuno che ha del “lontano” irraggiungibile da scrollarsi di dosso, dice a se stesso: “E’ deciso, si muore... con il vestito migliore” (qui ricordo la battuta  di Gauguin prima di ingurgitare veleno che poi vomitò... con piccola aggiunta in rima). E il poeta decide anche la lunghezza della stoffa. Per Enrico sono state 12 poesie. 
 

 

 

 
 
 
                                                    TRE POESIE DI ENRICO FRACASSI

                                         (
Poesie di Enrico Fracassi 1902 – 1924 - Da “Passione e oblio”. Ed. Il Labirinto, 1998) 
 
 
 
 
                                                    °
 
                                           Giallo, livido sopra Monte Velino s’inalza
                                           il disco che illumina l’aia. 
                                           Ma l’aia non suona di grida.
                                           Non ci siamo stati che noi, bambini?
                                           In una sera come questa,
                                           ora sono dieci o dodici anni
                                           t’ho strette le mani giocando,
                                           fra il pagliaio ove siedi e la casa,
                                           scotendomi la febbre le vene.
                                           Certo, non ricordi. Che vuoi?
                                           Da quella sera, la luna - tante volte s’è rinnovata,
                                           e la tua bocca, come la luna - anch’essa s’è rinnovata.
 
 
 
 
        °°
 
        Settembre e la sera declinano; dalle giunture
        le membra mi allontanano; resti tu sola.
        Cadavere sopra cadavere; la Terra è morta
        sulla spoglia dell’estate riversa.
        Il mandorlo con i suoi rami
        carichi, assiste.
        Io penso che questo sia
        il paese di là dalla terra favoleggiato
        eguale, immutabile, fermo,
        d’un colore calmo,
        d’un profilo nitido.
        Le vene più non mi battono; il sangue dal cuore
        più non fluisce; le zolle sono aderenti
        alle mie ossa; disteso lungo i solchi
        segui le gémine onde,la passione e l’oblio,
        configurarsi e confuse scorrere dalla luce,
        ristagnare in un bacino opaco.
 
 
 
 
 
                                                  °°°
 
                                                  CONGEDO
 
                                                  Sottoterra non vive spirito e senso;
                                                  le ceneri peregrinano, poi si confondono.
                                                  Atomi elevano le montagne, monumenti
                                                  che illuminano lampade, senza ricordo accese.
 
                                                  Dolce per me sarebbe e per te profondare nella quiete;
                                                  sul tuo seno assaporo una più certa morte.
                                                  Non più ascolteremo, sparte membra nel suolo,
                                                  scendere di soppiatto, fra le viti, la sera.
                                                  Per noi, sulle montagne, ora s’accenderebbero

                                                  quelle immobili lampade sepolcrali.

 


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