:: Facteur Cheval, Postino cavallo. A cura CDS/Margherita Stein

  

 
 
 
 
 

 

POSTINO CAVALLO ARCHITETTURA SOGNO IN BALLO

 

Il postino Ferdinand Cheval, cognome appropriato per un postino di provincia, soprannominato Facteur Cheval, è il Gaudì naïf della provincia francese. Colui che, pietra dopo pietra, elemento decorativo dopo elemento decorativo, costruì il suo Palais Idéal in provincia, nei pressi di Lione, e financo la sua monumentale tomba mescolando ogni tipo di stile architettonico. Nacque a Charmes nel 1836 e morì nel 1924 senza aver conosciuto un solo giorno di malattia. Misantropo, in totale solitudine raccolse per anni pietre e sassi sui sentieri di campagna raccogliendoli nel sacco della posta, lungo le strade per poi raccoglierli con una robusta carriola. Le sue costruzioni ignorate, ovviamente, dalla cultura ufficiale entusiasmarono Dalì e Malraux e Le Corbusier. Il fondatore del Surrealismo, poteva essere diversamente?, gli dedicò una poesia. Qui riprodotta nella traduzione di Margherita Stein.
 

 

Noi gli uccelli che tu sempre ammali dall’altitudine di questi belvedere
E che ogni notte ricaviamo un gemmato ramoscello dalle tue spalle alle stanghe della tua devota carriola.
Che ci sottraiamo dal tuo polso vividi di scintille
Diventiamo i sussurri della statua in vetro che si solleva sui gomiti quando l’uomo dorme
E quando fenditure rilucenti si squarciano nel suo letto
Brecce attraverso cui s’intuiscono cervi con palchi corallini in una radura
E nudità di femmine sul fondo di una miniera
Ti rammenti allora come ti alzavi e scendevi dal treno
Che s’affanna nella foresta vergine con ogni sua caldaia ferita
Con i suoi fumaioli svaporanti giacinti e mossa da azzurrognoli serpenti
Noi ti precedevamo dunque noi arbusti soggetti a metamorfosi
Che ogni notte mandiamo segnali che l’uomo può meravigliare
Mentre cade al suolo la sua casa e lui si meraviglia dinanzi ai portentosi incastri
Che il suo letto cerca di inventare con il corridoio e le scale
Si ramificano gli scalini all’infinito
Conducono alla porta d’un covone di fieno si slargano di colpo su una piazza
Sono composte con dorsi di cigni ed hanno un’ala spalancata per ringhiera
Prillano su se stesse come se si mordessero
Ma no! s’accontentano d’aprire sotto le nostre suole come gradini tutti i loro gradini
Cassetti di ciccia con maniglie di capelli
A quest’ora mentre anatre a migliaia di Vaucanson si lisciano le piume
Senza girarti agguantavi la cazzuola con cui si fanno le poppe
Noi ti sorridevamo tu per i fianchi ci tenevi
E prendevamo le pose che ti piacevano
Fermi per sempre sotto le nostre palpebre come la donna ama vedere l’uomo
Una volta fatto l’amore

 
(Traduzione di Margherita Stein, 1986)
 
 
 
 
 
Palazzo ideale