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C'era una volta la Poesia

:: Sartre Pillolato 3
04 Febbraio 2014

CDS: "Critica della dialettica tazzina" - gennaio 2014 

 

 

DIVULGATO SARTRE PILLOLATO 3

(ovvero Sartre in pillole manualistiche per marinai rossi coriacei)

  

Trascendenti la mia coscienza sono anche «gli altri». Sono, certo miei simili, dotati di coscienza come me; ma in quanto «in-sé» sono radicalmente estranei a me, sono «oggetti» come le cose. Anch'essi acquistano un senso e un'esistenza per me quando entrano nei miei progetti. Ma il loro entrare nei miei progetti non è uguale a quello degli utensili. Essi sono, come me, dei «per-sé», hanno un mondo relativo ai loro progetti, che non coincide con il mio mondo. Anzi, in virtú dei loro progetti, io, per loro, sono mezzo, esisto in virtú del loro conferirmi un ruolo, un senso.

   

Dunque, tra «me» e «gli altri» non è possibile altro rapporto che quello conflittuale. Per esistere essi «mi negano» come «in-sé»; per attuare la loro libertà essi negano lo stesso mio mondo; «sottraggono», insomma, a me il mio mondo e me stesso; gli oggetti non sono piú miei, perché entrati nel progetto e nella valutazione dell'altro; io non sono piú io, perché l'altro mi giudica trattandomi come un in-sé, e mi utilizza per i suoi scopi, per i suoi valori e per le sue scelte.

 

L'altro, anche solo guardandomi, spossessa me di me stesso, si appropria di me, mi rende «oggetto» per sé. Io non sono piú un «per-sé» ma una «cosa» tra le altre, «parte» del mondo dell'altro. L'esistenza dell'altro dunque «mi colpisce in pieno cuore», mi crea il «malessere», mi getta nella «vergogna» di esser «caduto» al ruolo di «cosa utilizzabile», mi produce quel senso di instabilità che dipende sia dal fatto che so che io esisto per l'altro perché l'altro mi fa esistere (sia pure come cosa), sia perché so che l'altro «mi mette in pericolo», col suo «dominio» su di me.

 

Ciò caratterizza ogni specie di rapporto. Anche quello d'amore, che altro non è se non volontà di dominio, di conquista, di possesso dell'altro. Ma - e qui sta la specificità dell'amore - non di possederlo come «cosa», ma come «soggetto»; di possederne la libertà, cioè il suo stesso esistere. E infatti chi ama aspira a dissolvere il «tu» dell'amato nel proprio «io»; ma non totalmente, perché ciò comporterebbe la solitudine, e quindi la fine dell'amore; perciò l'amante vuole essere amato, vuole che l'altro conservi in qualche misura quella libertà per la quale egli esiste e con la quale attui quel progetto di impossessamento dell'altro analogo al suo.

 

Pertanto io sono di troppo rispetto all'altro, come l'altro lo è rispetto a me; il mio peccato originale è il mio sorgere in un mondo dove c'è l'altro; la mia maledizione è di essere «altro».

 

Dunque, con l'altro non si condivide se non questa colpa, questo peccato, questa maledizione; e null'altro; non gioie né dolori, non progetti né sentimenti.

  

È evidente che nella concezione sartriana, per i presupposti stessi su cui è fondata, non ci può essere alcun posto per Dio, né come creatore, né, tantomeno, come provvidenza o amore. Dio non esiste. Se esistesse sarebbe un assurdo; egli, causa della sua esistenza, esisterebbe prima di venire all'esistenza. La sua esistenza, come essere in sé, sarebbe un controsenso, perché «l'essere è privo di ragione, di causa, di necessità».

   

Tuttavia Dio «esiste», cioè esiste per l'uomo. L'uomo non può fare a meno di pensare a Dio, e lo pensa come suo proprio progetto; egli aspira ad essere Dio.

 

L'essere di cui il per-sé manca è l'in-sé. Il per-sé sorge come nullificazione dell'in-sé, e questa nullificazione si definisce come «progetto verso l'in-sé». In tal modo lo scopo e il fine della nullificazione che io sono, è l'in-sé. La realtà umana è desiderio di essere-in-sé. È questo il motivo per cui il «possibile» è in generale progettato come ciò che manca al per-sé per divenire in-sé-per-sé, ed è per questo che il valore fondamentale che presiede a questo progetto è giustamente l'in-sé-per-sé. È questo l'ideale che possiamo indicare con la parola Dio. Si può pertanto dire... che l'uomo è l'essere che progetta di essere Dio. Dio, valore e termine ultimo della trascendenza, rappresenta il limite permanente in base al quale l'uomo si fa annunciare ciò che è. Essere uomo significa tendere ad essere Dio, o, se si preferisce, l'uomo è fondamentalmente desiderio di essere Dio. 
(L'essere e il nulla)

 

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i problemi della «ricostruzione» politico-economico-sociale della Francia e dell'intera Europa spinsero Sartre a ripensare al rapporto intersoggettivo, a rivederne il carattere conflittuale, ad inserirlo in una visione «storica». Sulla base di queste esigenze egli s'accosto al marxismo. Con l'opera Critica della ragion dialettica procedette alla riformulazione del suo pensiero nel tentativo di armonizzare esistenzialismo e marxismo in modo da dare una prospettiva «positiva» e storica all'uomo concepito esistenzialisticamente, e da offrire al marxismo la possibilità di recuperare la dimensione individuale dell'uomo, sommersa secondo Sartre nella categoria di «classe sociale»

 

L'individuo si progetta sempre, si sceglie, all'interno di una situazione; situazione ch'è da intendersi anche come economico-sociale. Le sue possibilità di scelta si muovono pur sempre nell'ambito delle sue condizioni materiali d'esistenza e in quello dell'assetto sociale in cui vive. Anche le sue condizioni economico-sociali, dunque, sono «dati» ch'egli deve negare, nullificare, per trascendersi, per attuarsi. Certo, l'evoluzione della società nel suo complesso non può essere conforme al progetto di ogni singolo; pur tuttavia essa non ha luogo se non in virtú di questo progetto. Tutto sta - ed è ciò che non ha fatto il marxismo - a vedere qual è il rapporto tra la coscienza individuale, con le sue motivazioni e i suoi scopi, e la dialettica storica delineata da Marx.

 

Sartre afferma senza equivoci: «Il solo fondamento concreto della dialettica storica è la struttura dell'azione individuale». L'individuo, insomma, è il protagonista; dalle sue azioni dipende l'efficacia della lotta di classe e il suo eventuale buon esito, la rivoluzione socialista. Bisogna, secondo Sartre, recuperare questa verità per togliere al marxismo «ortodosso» ogni dogmatismo, ogni formalismo, ogni trionfalismo, ogni fiducia acritica. Ma per recuperarla bisogna che la ragione che legge dialetticamente la storia «si critichi», in modo da evitare di vedere nella storia una dialettica di tipo positivistico. Bisogna che essa non si sovrapponga ai fatti ed agli individui per assorbirli come in uno schema vuoto che ogni cosa spiega, purché sia posta al punto giusto. Se, al contrario, si legge la storia dall'interno, se si fa scaturire il sapere storico dal processo vivente della storia, allora si scoprirà che ogni situazione socio-politico-economica è il frutto del dialettizzarsi dei progetti degli individui, e che questo dialettizzarsi non solo è aperto a vari possibili esiti, ma è anche la condizione dell'apertura al nuovo della storia stessa. La storia, insomma, non è un iter «necessario», ma una permanente totalizzazione dialettica dei fini e delle azioni individuali; totalizzazione che, fondandosi sulla libertà degli uomini, non è predeterminata nei suoi esiti.

 

 

 

CDS: "Critica della dialettica pipesca" - Gennaio 2014

 

 

Sicché bisogna riportare i concetti di alienazione, di sfruttamento, di prassi, alla dimensione dell'esistenza individuale per comprenderne correttamente il significato socio-economico. E non bisogna disdegnare di utilizzare, ai fini della comprensione della realtà umana, quelle «scienze umane», quali ad esempio la psicoanalisi e la sociologia, che il marxismo liquida come «scienze borghesi», ma che, pur essendo sovrastrutture del mondo borghese moderno, aprono molteplici possibilità di comprensione dei fenomeni sociali. Non si può, ad esempio, studiare la società fermandosi al concetto di classe, quando tra la dimensione individuale e quella storica sussistono molteplici aggregazioni collettive di soggetti umani che vanno studiate con gli strumenti della sociologia, e che, studiati, arricchiscono la conoscenza della società e della dinamica della dialettica storica.

 

È dunque nella prospettiva dell'individuo che bisogna, per Sartre, analizzare la lotta di classe e la società alienante. Si scoprirà cosi che la lotta non nasce semplicemente dalla privatizzazione dei beni, ma dalla loro «rarità»; è la «penuria» che spinge l'individuo a cogliere nell'altro la possibilità di sottrazione dei mezzi che possano soddisfare i suoi bisogni, e a generare il contrasto che porta la società a strutturarsi in sfruttatori e sfruttati. E si scoprirà che nella società sbagliata il processo di totalizzazione si è sclerotizzato. Essa si ordina infatti «serializzando» gl'individui, ponendoli l'uno accanto all'altro come nella serie dei numeri e identificandoli non per la loro «soggettività», non come persone ma per il fatto che essi sono contrassegnati da un numero; a loro vien tolta la reciprocità dei rapporti; essi sono considerati in tutto e per tutto come scambiabili e sostituibili tra loro. Il «falso» progetto collettivo non corrisponde alla totalizzazione dei progetti individuali, ma si sovrappone alle ragioni esistenziali dei singoli, dominandole e asservendole attraverso la burocrazia.

 

È questa, dice Sartre, una situazione «pratico-inerte», situazione da ribaltare, restaurando la dialettizzazione intersoggettiva «resuscitando» la libertà che, pur non essendo mai scomparsa come condizione dell'agire individuale, «è divenuta il modo nel quale l'uomo alienato deve vivere a perpetuità il suo carcere e finalmente la sola maniera che egli abbia di scoprire la necessità delle sue alienazioni e delle sue impotenze». Tale libertà risorgerà con l'organizzarsi degli uomini in «gruppi». Questi sono totalità integrate in cui gl'individui interagiscono liberamente, in un efficace rapporto reciproco; rapporto che, appunto, dialettizza scopi e atti individuali producendo una «praxis comune» in vista di un fine comune Sicché il gruppo diventa non solo uno strumento ma anche un «modo d'esistere»; è l'«ambiente libero» in cui si produce «l'uomo come libero individuo comune»; è il «mezzo piú efficace di governare la materialità circostante nel quadro della rarità» ed è «il fine assoluto come pura libertà che libera gli uomini dall'alterità». La strutturazione in «gruppo» della società è quindi la condizione dell'attuazione della dialettica storica come «processo di totalizzazione», come «attività totalizzatrice».

 

 


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