:: Claudio Di Scalzo: Addio ericato. Apollinaire e Campana

CDS: "Apollinaire con tre bende..." 
 


 
Claudio Di Scalzo
ADDIO ERICATO IN APOLLINAIRE E CAMPANA
 
La Biblioteca Domestica è per sua natura metamorfica. In essa la biografia immaginaria modella anche il lettore, metti sulla questione dell’amore infelice, dell’erica, e di ogni addio calco di quello in Immensee raccontato da Storm o quello gemmato sul rametto brullo di Apollinaire. Anche Dino Campana sarà investito, fino a battere i denti in manicomio, dal “mai più” insieme sulla terra, quando scriverà alla sua Sibilla. E in tutto questo calcare senza il càlcare del disincanto può starci, a suo agio, anche  L’Addio, nell’interpretazione offerta dalla sconosciuta nella stazione ferroviaria. Anche questi versi possono commuovere e intenerire. Però anche infastidire. In questo caso si compie la profezia di Stendhal nel De l’Amour: chi ama “vive” il linguaggio dell’amore, chi non sta amando ne sorride o al limite ne è incuriosito.
 
Questa evocata dinamica stendhaliana mi spinge, ad evocare sempre di Apollinaire,  Cors de Chasse, Corni da caccia. Singolare poesia questa del poeta assassinato e ferito alla testa e morto scheggiato. A stare alla biografia di Apollinaire quanto era amore totale per Marie si scioglie nel ricordo di un’altra donna: Annie, e quest’ultima nella figura letteraria, un’altra Anna, evocata da Thomas de Quincey. L’amore, o almeno il linguaggio d’amore, diventa un calco continuo che apre a soluzioni di vera e propria scissione.
 
Cors de Chasse. Notre histoire est noble et tragique / Comme le masque d’un tyran / nul drame hasardeux ou magique / Aucun détail indifférent / Ne rend notre amour pathétique / Et Thomas de Quincey buvant / L’opium poison doux et chaste / A sa pauvre Anne allait rêvant / Passons passons puisque tout passe / Je me retournerai souvent / Les souvenirs sont cors de chasse / Don’t meurt le bruit parmi le vent. / Propongo una traduzione di Margherita Stein. Tiene conto che il poeta rifiuta ogni elemento lamentoso in amore e intende rifiutare il patetico romantico portato all’afflizione damascata. C’è in Apollinaire una scrittura d’amore che anticipa e forse rafforza Majakovskij: la stessa voglia di virile slancio vocato a schiudere le dita della morte mentre stringono – suggellandolo – l’amore passionale.
 
Il coraggio di chi ama sta nel riconoscere che l’amore è una melodia che scompare. Cacciatore e Preda nel loro ribaltarsi i ruoli possono aspirare soltanto al ricordo. Il tragico in questo rapporto sta nel non aver vissuto fino in fondo l’amore, e come ne L’Addio, il timone – oltre le intenzioni degli amanti – ce l’ha il Destino. Storia nobile e tragica la nostra / Come la maschera di un tiranno / Nessun dramma audace o incantatore / nessuna indifferente minuzia / Rende patetico il nostro amore/ E Thomas de Quincey sorbendo / L’oppio veleno dolce e casto / La sua dimessa Anna andava sognando / Passiam passiamo dato che ogni cosa passa / Mi girerò all’indietro spesso / Appaiono i ricordi come corni da caccia / Il cui richiamo svanisce nel vento /.
 
Tornando a L’Adieu serve ricordare che Apollinaire pubblica la poesia nel “Festin d’Esope” nel dicembre 1903. Successivamente la includerà nella raccolta Alcools nel 1913. J’ai cueilli ce brin de bruyère / L’automne est mort souviens-t’en / Nous ne nous verrons plus sur terre / Odeur du temps brin de bruyère / Et souviens-toi que je t’attends. Propongo, dopo la traduzione di Caproni che mi lesse il mio professore d’italiano, quella più fedele al testo di Mario Pasi. Ho colto questo filo d’erica / L’autunno è morto ricorda / Non ci vedremo più sulla terra / Odore del tempo filo d’erica / E ricordati che io ti attendo. Decisamente c’è da preferire la sensibilità del poeta Caproni. A me interessa quel Nous ne nous verrons plus sur terre, non ci vedremo mai più in terra, (e quel mai più suggerisce che nella traduzione Caproni ricorda Il Corvo di Edgar Allan Poe che dice never more di continuo, mai più di continuo). Ecco perché un poeta, nel tradurre, vince sempre sui traduttori di mestiere: quest’ultimi possono come Pasi ignorare Poe ma Caproni lo conosce! E su quel mai più, never more, anche Campana può scrivere a Sibilla Aleramo: “Nous ne nous reverrons plus sur terre. Addio. Mandate ancora un saluto al vostro Dino”.
Nella poesia di Apollinaire alcuni commentatori hanno risolto il problema del mancato incontro sulla terra col proporlo in un luogo altro, un al di là, e da qui la fiduciosa attesa. E se questo “non vedersi più” fosse frutto del disamore che impedisce agli amanti di guardarsi come un tempo si scoprivano e cioè innamorati? Sibilla negli ultimi tempi “invasa fino allo stordimento”, come scrive ad alcuni amici, “dal mio lavico Dino”, smetterà addirittura di scrivergli, ti amerò da lontano in silenzio, pensa. Devo riprendermi, medita, forse difendermi. Ma per Campana la scrittura è anche quanto dà luce agli occhi per “vedere” l’amore. A Campana questo “non rivedersi”, l’addio dunque, sarà dettato e perfezionato dalla follia.
 
Da un cambio radicale di prospettiva. Possiamo immaginare che in manicomio Campana abbia considerato questa impossibilità di rivedere Sibilla come fuga dall’abbaglio preso? Fuga da uno spreco d’amore insostenibile e inutile? A questa domanda tentai di rispondere con la Lettera al vento (Pubblicata sulla rivista Tellus 6, “Metropoli e Museo”, Gennaio – Aprile, 1992) che rientra nel genere della biografia immaginaria.
 
La biografia immaginaria, fondata da Marcel Schwob, è stata una delle passioni della mia vita. E spesso agli autori da me letti, alle loro biografie sia detto con più precisione, ho consegnato tasselli della mia stessa biografia plausibile. Inventata. Senonché, e credo sia stata una specie di vendetta del fantasma letterario, quanto avevo fatto vivere a lui è toccato di viverlo a me davvero: e io ancora non so se la mia biografia diventava per questo letteraria o io un doppio rispecchiante qualcosa che in ogni caso non sarebbe appartenuto a me nei nomi ma soltanto nel dolore provato.


 
 
 CDS: "Dino Campana ericato..." 




"Tremo" - 6.IX.1986 - cartella di disegni per Dino campana




dalla rivista TELLUS n 6 -  1992





 
LETTERA DI FIATO
 
Ora che ti scrivo . . . lo faccio proprio volentieri . . . spero per questo di dormire sonni meno agitati . . . perché quando le parole mi stanno troppo addosso . . . s’ingolfano nei miei sogni con certi musi più duri del catrame secco . . . dicevo che stamani ti scrivo . . . senza data visto che il calendario ha deciso di non occuparsi più di me . . . è una giornata di gennaio . . . gelida e lucente si spalma sui vetri della mia stanza . . . come fosse comandata a bacchetta . . . accanto alla branda c’è un caminetto stipato di ceppi spenti che spargono un bel freddo difensivo . . . ho tutto l’occorrente fuori e dentro per scrivere . . . su questo specchio del lavandino dove soffio il fiato per appannare la mia faccia . . . e col dito . . . lo stesso che ha lisciato le tue gote . . . il medesimo che ha suonato il campanello della tua casa . . . questo indice tozzo . . . signorino in pelle liscia . . . col quale ho telegrafato il mio amore per te . . . spezzettato . . . in pinzimonio al pepe nero . . . con tanti tic tac toc . . . quest’oggi scrive sul mio respiro condensato . . . “Tanti saluti da questo mare di scoperta noncuranza per i sapori della vita” . . . certamente qui non entra tutto questo patimento . . . ma tu saprai leggere lo stesso . . . anche i mozziconi di sillabe gocciolanti . . . se solo ti avvicinerai alla tua finestra . . . questa pagina inconsueta. . . scritta a centinaia di chilometri di distanza . . . si verserà sui vetri della camera che occupi . .. saprai della mia delusione per ciò che non resiste . . . che si consuma . . . e perdona se mi faccio custode. . . ancora per qualche mese . . . di un abbaglio autunnale rimasto nei miei occhi . . . perdona . . . non sono che un poeta con mezzo emisfero cerebrale dato in appalto a un barrocciaio . . . ecco perché le virgole sono sempre pronte ad addentare il collo del mio stile . . . e c’è da giurarci anche l’esistenza . . . visto dove mi trovo.
 
Dino
Manicomio di Castel Pulci