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Imbecillità con Morte

:: Claudio Di Scalzo: Cimitero Ducasse 1 - Imbecillità con Morte XIV
12 Giugno 2014

 

 

PREFAZIONE A SCHEGGIA

"Imbecillità con Morte" è una scommessa narrativa e disegnata - aperta al corredo sonoro - che si è impennata e nutrita di decennio in decennio. Nel senso che ogni decennio ne ho aggiunto un tassello. Senza mai darle forma definita. Ora L'Imbecillità, escludendo per il momento la Morte, sia del protagonista, che non sono io, bensì Covato Poco, sia dell'autore che son io, conto di darne apparizione minimale sull'Olandese Volante. La voce femminile appartiene a Salata Maretta. Ovvio che "Imbellicità con morte", avventura umoristica, si sia anche nutrita sul legame da vicino e da lontano di Accio e Sara.
 

 


Claudio Di Scalzo: "Cipresso bracciante del Cimitero Ducasse"

11 giugno 2011

 

 

Claudio Di Scalzo

Cimitero Ducasse con cipresso bracciante

(Imbecillità con Morte XIV)

1

Finire steccato, come passero incauto, nei cipressi che delimitano il Cimitero Ducasse dell’opera eretta sul fondale dell’avambraccio con cui scrissi picciola fossa o lapide che sia. Mammamia! Giugno 2014 incipressato con il corpo in ascolto d’un lontano requiem che mette in guardia, il Conte Isidore Ducasse salmodia con voce in falsetto, contro ogni mercificazione e reificazione dell’opera d’arte e letteraria.  Nella tomba della sua salma assente  epperò tanto presente si scioglie, cadavere vivo!, il dramma dell’esistenza separata dal corpicino col pensierino succhia sincerità nel cuoricino! Tutto è separato e diviso basta guardarci on line in viso.

 


 

 

Ma nel cimitero Ducasse visto da un cipresso standosene passero steccato tra rami lama che negano ogni nido, ah beh una qual certa visionarietà su questa età la dà. Fragranza dei nervi batti le ali nella storia mia senza pari ai discorsi accennati e mai conclusi! sull’opera chot chot fan le mie ali giunto nell’aquasantiera del cimitero, in cappella dorata, chot chot, forse onomatopeizzo un critico francese di cui il Conte subì le conseguenze interpretative e becchive. Mi sembra si chiamasse Blanchot. Urca c’è il tedio se uno sceglie di morire con la sua opera terminandola, val allora in fede passero cipressante continuarla seppur allegrante nel cimiteriale sfangarla, non si muore, lo vedete o no!? che il braccio alita verde cupo!, anche se scheletri polpa poca hanno ancora pasteggiati dai vermi come sono, attorno al braccio!, i canti di Maldoror e anche il Conte di Lautréamont, pasteggiato dalla critica e dall’indifferenza verso il maledettismo dell'insobordinazione eccidua per natura e bua, se la passa spiritato obliato, là oltre il braccio inverdato con passero fratturato dai rami, dove sol vendendo se stessi e operette strette camiciole ci si sente vivi e fluidi e poetanti in varie fole. Forse dico, io passero spurio, cipresso incarnato, se mi metto al mondo da solo, volatile e florato, come fece il conte filiforme, evito lo scolo nel banale male a torme o il sacrale e lascio almen d’un fremito d’ali orme.

FINE PRIMA PARTE. CONTINUA

 


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