:: Karoline Knabberchen: Villa Borghese tra Giovanni Boine e Paolo Veronese.



Paolo Caliari detto Paolo Veronese: Sermone di San Giovanni Battista - Galleria Borghese Roma

 


Karoline Knabberchen (1959-1984) con il fidanzato Fabio Nardi scrisse episodicamente su Giovanni Boine

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Lucca Giovanni Boine Karoline Knabberchen
 

 
Karoline Knabberchen

VILLA BORGHESE TRA BOINE E VERONESE
 
 
“Comincio a capire cos’è quell’esperienza che si dice dia il viaggiare: è l’accorgerti proprio sul serio che il tuo mondo, il tuo ambiente non è il solo, e che se n’esci, una quantità di cose che son bianche ti diventan nere o grigie. Così t’allarghi. E c’è il pericolo di diventare déraciné: ma nel mio caso codesto pericolo lo credo escluso. Etc.
Visitata bene in due volte la Galleria Borghese: solo i quadri; la roba antica nemmeno guardata. Tante belle cose e tante cose imparate; ma in modo superlativo ammirato un Veronese (Paolo) Predicazione del Battista che non avrei creduto codesto lussuoso pittore sapesse fare. C’è un Cristo lontano che sale, un Cristo dal viso vago come sempre nel Veronese ma che qui è vago come tutto ciò che non ti è sensibilmente presente, come un’idea che non hai ancora concretata o come una musica distante. E c’è il Battista che lo annuncia, che lo segna, con un braccio che lo scorcio avrebbe dovuto secondo le regole stringere in meno tela, ma che invece s’allunga giù come tutto il quadro che pende verso il Cristo che sale che tutti aspettano e verso cui tutti tendono non l’occhio ma l’orecchio, in silenzio, appunto come per una musica che senti e che non senti, che il vento porta e disperde. (…)”
 
Giovanni Boine, lettera ad Alessandro Casati, Roma, 17 aprile 1909
 
 
 
 
Dove inizia l’arte e dove finisce, è appena un alito di vento. Boine ce lo porge nel suo groviglio d’ulivi, come scriverà anche a Papini, presenza rabdomantica in luogo di ciò che non esiste, e che pur fonda l’Umano.
Di tante parole la storia non si nutre, e questa lezione ci dovrebbe esser cara a ricordare che dietro ogni letteratura vi è questo Uomo. Per cui, scrivere non potrà mai essere null’altro che una professione di fede.
Anche scriver d’arte, se attraverso il groviglio d’ulivi, oltre la china, si sporga l’impertinente profilo d’un escluso che non accetti l’inaccettabile, il patto con qualsivoglia ideologica rarefazione, e che scruti lanciando parsimoniosi sguardi dal suo cenobio: l’emozione d’un incontro, sia esso con l’opera o con il creatore.
Di questo s’è nutrito – forse ammalato – Giovanni Boine, affacciandosi dal suo eremo di supreme visioni, calato nella ricerca dell’abbozzo, del fango ancor prima della costola: dell’abbandono prima ancora del paradiso.
Perfetta narrazione ad arte, quando non si spedivano cartoline dai musei, e quando la parola, il piacere estenuante della parola, assolve al suo dovere di controparte affettiva, di compagna benevola, nel viaggio.