:: I Salmi di Giovanni Boine 1 - Ceppo del male, fotografia, Galgani


CDS:  Fantasma dell'inutile ceppo del male - Febbraio 2017

 

 

 

 

Giovanni Boine

SALMI DELLA VITA E DELLA MORTE

 

(1912)

 

1

Con l’eccitazione del canto, come chi s’inebria, come chi s’esalta di vin forte al combattere, romperò, scuoterò la gemente notte di dentro al mio cuore?

Perché lo spirito mio agonizza in una palude di buio, ed è come chi ha perduta ogni cosa e ogni speranza.

Io sono, io sono come chi sente la morte venire, come chi è morto or ora e sprofonda. Peso che affonda nella spettrale  (turchina) immobilità delle acque; occhi avidi-spenti alle cose vanenti; lamento, lamento lontano.

Io sono chi muore.

 

 

 

 

 

LA FOTOGRAFIA PER IL POST-LIBRO DI GIOVANNI BOINE

PER ILLUSTRARE  “SALMI DELLA VITA E DELLA MORTE”

La fotografia è stata  scattata nella camera di un uomo che soffre di una malattia nervosa abbastanza rara. Che è inutile qui ricordare. Uomo  a cui sono molto legato. A Lucca. La santa è Gemma Galgani. Trovo questa immagine adatta a stare accosto al salmo 1 di Giovanni Boine. La piegatura casuale del lenzuolo evoca non un corpo ma il suo fantasma:  di lacerazioni, tossi isteriche, schianti dissociati, sgomenti sudati brividenti il lamento. È facile immaginare che in questo letto  la trottola del petto si gira sullo spiedo di rimpianti, date, paludi del tempo inghiottito da errori reali o semplicemente immaginati. Per giustificare i gemiti. C’è il bianco lattiginoso delle onde in bassa marea  e il celeste del cuscino, frammento di oceano, dove la testa dell’uomo che lì dorme, a notte, diventa spettrale.

Il “ceppo inutile del male”, del dolore insensato, non ha bisogno di alcuna estetica. Porta dentro l’orto, controllato, degli ulivi. Dove anche il Cristo subisce lacerazione, sgomento. Tutto si disgiunge da ogni Ragione che ebbe  nelle immagini dove appendersi, stare riunita, comprensibile, perché c’era la SALUTE!  Ora invece il MALE abolisce la precaria soggettività del sofferente, gli lascia il simbolico di un lenzuolo vuoto, di un gesto che non trova più alcuna ospitalità nella parola,  per avere una spiegazione:  è Croce e basta.

La stessa Gemma Galgani è impotente. Può dare se stessa come esempio di sopportazione. D’annuncio che non sarà infinito il male, la malattia, l’inutile del ceppo che rotola dal guanciale mare alla schiuma ai piedi del letto. Sopra il corpo dell’ammalato. Le parole nell’agonia delirante della Santa furono raccolte dal confessore. L’Uomo malato che occupa questo letto nella sofferenza gorgoglia e basta, la parola non esce, ci sarebbe quasi da pensare che un tempo, ebbe in esse, parole, troppa fiducia,  e che ora sono punte spezzate sulla sua glottide.

 

 

La fotografia col lenzuolo fantasma col ceppo assente su quelle povere pieghe sudate di cotone, rivelano che ogni sofferenza si dà senza essere vista se non da chi ha lo stesso ceppo addosso, il sano non può capire questa fotografia; il male è assente nella sua stessa presenza dinanzi all’immagine. Soltanto il malato può cogliere corpo e lenzuolo unito; non aver bisogno del fantasma simbolico per capire il dolore, la sua inutilità, e lo carezza questo anonimo altare. Giovanni Boine davanti a questa immagine comprende e protegge, d’intesa con la Santa Gemma Galgani, chi qui muto accudisce il suo vissuto inutile.