:: CDS: la cucina di Giovanni Boine. Post-Libro sul cibo

 
CDS: Giovanni Boine allegro e sano in trattoria - 26 marzo 2016 

collage e disegno su carta 

 

 

 

Il POST-LIBRO progettato su Giovanni Boine, stamani, aggiunge un capitolo, dedicato alla cucina, ai piatti che mangiava.

L’ho  scritto perché rispondendo ad un “mi piace” della signora Donatella Giancaspero, su Facebook, riguardante Giovanni Boine ammalato, ho avuto fantasia di rammentare un piatto. Non conosco la signora Donatella, però la ringrazio. I piatti scritti dopo sono una conseguenza, del suo interessamento, di quel mio commento un po’ scanzonato. Allora è sorta l’Allegra Brigata con un Boine ancora sano. A Porto Maurizio va di trattoria in trattoria. A mangiar ad amar! Nello scrivere. 

Il Boine al ristorante in pittura e fumetto s’accosta poi ai piatti. Un po’ poetici un po’ racconto. Un po’ anticipo della tragedia della malattia. Della comparsa del (clikka) “Ceppo inutile del male”.

 

 

 Giovanni Boine in trattoria

mentra gusta i MACCAROIN

cds tecnica mista su carta

26 III 2017 

 

 

 

Claudio Di Scalzo

LE PAROLE DELLA CUCINA DI  GIOVANNI BOINE SANO

BEL O BELO. Boine, da sano, in "Allegra brigata”, amava questo piatto detto anche “trippette”. Ricavate dalla pancia dello stoccafisso necessitano di ammollo lungo. Boine entrava tra le cuoche della locanda. E chiedeva giorni prima dell’ammollo. Tra sé diceva: il frammento trippetta ha la fragranza della luce bianca sugli ulivi. Da leccarsi i baffi scanditi in antico sapiente metro. Domani le gusto in umido. La loro cedevole consistenza sulla lingua strascicano il piacere come un bacio dato ad una donna nella memoria del prossimo incontro.

BURIDDA. Giovanni Boine gusta questo piatto perché pensa, ridacchiando tra sé, che realizza la poetica dei vociani, lui ce l’ha con la forchetta tra le mani. I fessi come Prezzolini non han di questi santini culinari. Stoccafisso unito ad un soffritto di olio e cipolla con aggiunta di funghi, pinoli, potevano mancare in Liguria?, pomdori, e un brodetto di pesce per tener l’insieme stretto. A Boine in allegra brigata vengon le rimette con la facilità con cui sputa i semi dei pomodori al gatto lì accosto. Che aspetta lische. Buridda amata convivenza che va e viene come rituale d’incomparabile transitorietà. Però stavolta c’è troppa cipolla, la Maria non mi bacia oggi pomeriggio. A sentimmi cipollato. O cipollone?

La CAVAGNA non si magna. Rima Boine ciarliero. Alla cameriera. Infatti il paniere, il cesto, intrecciato, di vimini, ha manico ed è vòto. Boine lo ondeggia e pensa che anche la poesia è una cavagna. Da riempire. Ma oggi non gliene importa niente e la cameriera ha gli occhi lustri come scaglie azzurre di mare. E gli ha preparato i “Frisceu”, i frittini, e il poeta pensa acome sarebbe bello friggere tra quelle cosce e seni che intravede.

Già, FRISCEU, li devo far assaggiare al mio editore che non scuce mai i soldini. A Porto Maurizio s’impastellano con farina e acqua, verdure, pescetti, fiori di zucca e baccalà. E la pancia fa galà. Dice agli amici riuniti Giovanni Boine. Che poeta esclamano. E lui è felice di cavarsela con una rima un po’ grulla, come dicono a Pisa, perché la poesia a volte è un nulla come il canto delle cicale che gli rintronano gli orecchi. Ed il mare rima con le onde a riva con la semplicità della farina con l’acqua, appunto. La farina mi casca ovunque, ha detto Paolina, in cucina, e Boine ha allungato la mano nel seno. La ragazza ha lasciato fare. Sarò il tuo pescetto infarinato dai baci? – Se vi aggrada tanto, risponde la mite e maliziosa Paolina.

MACCAROIN CUN E TRIPPE. Maccheroni con le trippe tanto bòni da render l’ore d’amor invitte. Sentenzia tra le risate Giovanni Boine sano e pimpante. Oggi ha una giacca che il sole radente rende arancione. Sembra uscito da un dipinto di Signac. Gli aleggiano attorno puntolini di colore marino. Alla trippa cuori di cardi, l’alcova sempre prima che sia tardi. E giù altre risate. Boine nel pomeriggio avrà un incontro galante. Sorride tra sé alla sua scissione che funziona come il vino con i Maccaroin. Scrivo sul peccato, m’immagino suore svelate, e son qui a presentarmi dongiovanni di provincia. Ne ha di segreti il nostro Gioanin. Uè, dice l’altro, sei di Milan? No imito gli intellettuali milanesi che mangiano il riso sciapo! Tutti ridono. Gioanin pensa a quanto impara, da questa combriccola, e come sia fondamentale per lui scrivere quanto è serio, arduo, sul confine della nuvola assente che dà asilo ai suoi silenzi.

MESCIUA. La zuppa tien lontano dalla zappa. Dice Boine al contadino dell’uliveto che ha invitato  a pranzo con lui. Per sapere tutto degli ulivi. Ci scrivo qualcosa di inaudito, me lo sento. Monologa tra sé. L’hanno inventata quelli di levante, precisa il contadino, sono meno intelligenti di noi  a ponente, ma qualche piatto l’hanno indovinato. Sorride per questo campanilismo di base Giovanni Boine. Viene preparata con fagioli cannellini, ceci, grano tenero  e condito con olio della Riviera. Il nostro olio è più bòno. Ovvio pensa Boine. Noi aggiungiamo il pepe. Dice l’altro. Qui la nostra maggiore intelligenza a Porto Maurizio. Annuisce il poeta. Secondo me o ci metti i fagioli o i ceci. Anche ciò è logico. Dice col dito bravo al contadino. Conclude tra sé che o fai il frammento o fai il verso col sonetto. Ovvio. O uno o l’altro.

PESTUN DE FAVE. Fave fresche pigiate e lavorate nel mortaio. Fave fresche schiacciate tresche evitano ogni guaio. Questa me la scrivo Giovanni. Ma come fai ad inventarle. E tutti si avventano sul piatto che contiene anche formaggio  e olio e aglio. Mi farà alzar il battaglio oggi con la Maria Gorliero!

PICAGGE. Sottili come “fettucce di cotone”. Boine apprezza la maestria cotoniera in fettuccina rivelata. Si lancia a definirle, quasi, tra sé, un alfabeto inventato sincrono al gusto per un corpo che vinca ogni apparenza. Oggi filosofeggia e mangia. Sta beato. Felice. Da solo sulla terrazza verso il mare. Farina uova borragine bietola. Ne accarezza i suoni, s’affida alle vele che vede per sentire ancor più il palpitare logico del vento su quel bianco lontano. Questa è la gioia dell’essere. Voglia Iddio la provi spesso e qui dove ho casa.

PREBOGGION. Questo è il piatto selvatico. Dice Boine. Una specie di misticanza, uè la mistica vive anche così cari amici e fratelli, mischiando erbe selvatiche stagionali con tarassaco e cavolo cappuccio. Qui sta del poetar l’astuccio. S’alzano i calici di vino bianco. L’allegra brigata omaggia il capo-branco rimatore.

TOMAXELLE. Le tomaxelle ispirano a Boine le sue imprese nei Frantumi, nell’ardite varianti del poema in prosa. Perché carne di vitello, farcite con ingredienti vari come funghi, son tenute assieme, legate vah!, pensa Boine, con del filo gastronomico,  e cucinate in umido col pomodoro. La letteratura che si rinnova ha bisogno di un filo simile che tiene unita la carne dell’ottocento col pomodoro fresco novecentesco, coi funghi cresciuti nella terra  della retorica e stilistica antica. Boine è solo in trattoria, si toglie il cappello verso se stesso. Si saluta. Bella pensata, ammette compiaciuto. E si butta con appetito sul piatto.

LAXERTI CON I PUISCI. Giovanni Boine gusta gli sgombri in umido con i piselli. Incantato da quel verde in palline accosto al rosso del pomodoro cerca il bianco per formare un ideale tricolore. Già, il bianco è il piatto, il bianco è la Chiesa di Roma, che regge tutto in Italia, il rosso garibaldino che si sfa in salsa e il verde liberale che nella sua singolarità non conta più di tanto. Gli amici della Brigata apprezzano questa sua sintetica lezione politica. E devoti alla chiesa bianca-piatto mangiano più pietanze. Boine ride ma ha sulle labbra una piega amara. È comparsa una tosse strana l’altrieri che lo preoccupa. Era nel vigneto. L’attorta vite l’ha spaventato. Il graspo marcisce se c’è la malattia in quel contorto reggere la bonta. Scendendo verso casa un ceppo di ulivo per poco non lo fa cadere. E la bottiglia d’acqua presa alla sorgente, che gli pesava in tasca, la mia dannata fissazione di avere sete e non trovare da bere!, si dice, caduta per terra s’è infranta. Agli amici non rammenta questo suo timore. E il pomodoro messo in bocca distrattamente gli macchia il solino della camicia col suo rosso.

In questa maniera, quel giorno, nell’allegra brigata, sul corpo di Boine, la Morte soffiò un refolo. E così comincia il feuilleton del Boine ammalato, nel Post-Libro che lo riguarda. Il patetico, il sentimentale, il melodrammatico sta alla porta. Infatti uno dei commensali dice, ho qui un mio amico di Pisa, Giovanni, si può unire alla nostra brigata? Ma certo, risponde il poeta. Ed è L’Uomo che muore a Marzo. E Boine sarà L’Uomo che muore a maggio. I ruoli sono stati dati.