:: Dino Campana: "Arabesco - Olimpia. A Boine"- Disegno Indagine CDS


CDS: "Dino barbaspino"

 
 
 
 DINO CAMPANA
 ARABESCO - OLIMPIA
 
                                                                                     A Giovanni Boine
 
Oro, farfalla dorata polverosa perché sono spuntati i fiori del cardo? In un tramonto di torricelle rosse perché pensavo ad Olimpia che aveva i denti di perla la prima volta che la vidi nella prima gioventù? Dei fiori bianchi e rossi sul muro sono fioriti. Perché si rivela un viso, c’è come un peso sconosciuto sull’acqua corrente la cicala che canta.
 
Se esiste la capanna di Cèzanne pensai quando sui prati verdi tra i tronchi d’alberi una baccante rossa mi chiese un fiore quando a Berna guerriera munita di statue di legno sul ponte che passa l’Aar una signora si innamorò dei miei occhi di fauno e a Berna colando l’acqua, lucente come un secondo cadavere, il bello straniero non poté più sostare? Fanfara inclinata, rabesco allo spazio dei prati, Berna.
 
Come la quercia all’ombra i suoi ciuffi per conche verdi l’acqua colando dei fiori bianchi e rossi sul muro sono spuntati come tra i fiori del cardo i vostri occhi blu fiordaliso in un tramonto di torricelle rosse perché io pensavo ad Olimpia che aveva i denti di perla la prima volta che la vidi nella prima gioventù.
 
Dino Campana
 
 
 
(pubblicata sulla “Tempra” del 15 ottobre del 1915 e nella “Riviera Ligure” del 25 marzo 1916 )
 
 
 




 
 Claudio Di Scalzo
 
INDAGINE RABESCATA
 
Pesa su Campana, da parte della critica anche più devota, e intelligente (a volte troppo intelligente che finisce, come dimostra Fiorenza Ceragioli, per correggere come refusi tipografici nell’edizione dei Canti Orfici, Marradi 1914, scelte invece di Campana) che organizzò i due volumi da Vallecchi nel 1973 a cura di Enrico Falqui con i contributi, per le note sui versi sparsi, di Silvio Ramat, la vocazione a dar per scontato che per certi titoli ai suoi versi il poeta folle agisse appunto da folle e cioè inventandosi richiami sempre un po’ vaghi e alla buona. Vale anche per “Arabesco-Olimpia”. Commentato da Ramat. E pubblicato nei volumi citati nella sezione “Versi sparsi”.
 
Campana accostando Arabesco ad Olimpia, la donna Olimpia, non crea soltanto un valente “impressionismo visivo” da tradurre in prosa poetica: ha un ruolo la voce Arabesco. Lo si può intendere se diamo a Campana quanto è di Campana, invece di legarne il batacchio che batte sul bronzo sano del metallo creativo, e cioè lo studio ragionato della parola per etimo e ambito semantico. Vediamo come s’indaga dalle parti dell’Olandese. La prosa poetica è indirizzata a Giovanni Boine. Non bisogna dimenticarlo, di Boine... Campana si fidava. Non degli intellettuali fiorentini, ruffiani e invidiosi che sfottevano la sua selvaticheria. Dino è un nomade. Nomade è l’arabo che rabesca o arabesca con disegni bizzarri di foglie e fiori e figure non umane, non umane!, la sua sensibilità verso il Tutto. L’Olimpia di Campana non è umana come una fotografia come un ritratto, appare commistione di sogno d’adolescenza, ragazza di Marradi, donna di Berna e poi dipinto di Manet. Tanti lineamenti in uno deformano nel non umano. In arabesco alla Campana per un amico che di arabeschi di luce sul mare se ne intende abitando in Liguria. D’arabesco, nella sua cinconfusa pronuncia dalle parti del nomadismo folle, scrive anche Lorenzo Viani, il viareggino giramondo pittore: “Il fogliame di castagni arabescava d’ombre la viottola rossa”. L’arabesco di campana è a chiave, indecifrabile per i più, non per Boine. Che lo riceve come cartolina. Avrà avuto in mente anche l’arabesque come figura di danza su di una gamba sola Campana? Probabile, ma la danza della donna è d'una baccante e non segue alcuna figura precostituita, non sta immobile sopra un canapè in attesa del cliente gelidamente indifferente come l’Olympia di Manet. Non commercia né per oro né per fiori ricevuti prima di un glande, decide da sé quanto è pulsionale in rapporto a un ordine tutto suo in materia di parole di scrittura tra il fogliame tra le case sui ponti. Arabesca con una trasgressione attiva, non passiva, e sottomette dai denti alle dita dei piedi ogni scena vitale. Forse il compito di ogni gioventù. Per certo qualcosa in più dell’impressionismo visivo.
 
Campana dimostra di conoscere la pittura dei maestri francesi: fra l’altro dei post-impressionisti. Ostici al comprendonio dei letterati italici. Cézanne per giunta. La capanna ricordata non è però “la casa del suicida” dipinta dal giovane pittore con domicilio in Provenza, come suggerisce Silvio Ramat. Anche qui si prende Campana per uno che pasticcia. La casa è una casa, la capanna è una capanna. Contadina o di boscaiolo o edificio con tetto in paglia tipico di certe fattorie. Immagino che il poeta ne conoscesse la differenza. Potrebbe essere la ricordata "capanna", quella in un dipinto come “il bivio di Rue Rèmy a Auvers-sur-Oise". Qui Cézanne, nelle campagne di Pontoise, dipinse en plein air nel 1872-1873.