:: Chaissac angelo mingherlino

 

 

 

 

Claudio Di Scalzo

L’ANGELO MINGHERLINO

Se Gaston Chaissac era, come penso, un mingherlino angelo provinciale che modellò in sé il proprio diavolangelo perché lo spingesse a dipingere, egli forse ha bisogno che un Accio come me, intriso fin dalla culla - dove fui posato gracilino nato di sette mesi - di pensiero selvatico e provinciale, si faccia carico d'assemblare le date sconnesse della sua biografia, partorite da un corpo nevroticamente teso a modellare personaggi capricciosi e a scrivere lettere stravolte in preghiere, anche rancorose, al nulla dell’esistenza e dei rapporti. 

“Il 18 agosto 1910, la sera della festa per la grande fiera agricola e mentre la cometa serviva da attrazione, in Bassa Borgogna io nascevo nel piccolo, pittoresco paese di Avallon”. Scrive Chaissac. Il padre fa il calzolaio. Il bambino s’attacca alle gonnelle della madre. Studia in direzioni opposte e si sente perso dietro al banco. Nel 1923 lo aspetta il mestiere di sguattero all’Hotel du Chapeau Rouge, poi farà l’apprendista sellaio e il palafreniere.

Si convince che la cometa ha lasciato sulla sua testa una scia di sfortuna o almeno un velame vetroso che lo separa dagli altri. Debole di costituzione, finirà per fare anche lui il calzolaio. Sente così di riempire l’impronta paterna. Anche col malumore e incespicando. Le bullette che tiene sulle labbra a volte ha la tentazione di masticarle. Dal 1934 al 1936 apre a Parigi un negozio di calzolaio e quando si sente portato a qualcosa di più grandioso ricorda, o s’inventa?, un rito druidico che anni prima gli aveva schiuso la sua genealogia. Per il resto subisce quotidiane sconfitte.

Nel 1937, un incontro che vale quanto un canto nella notte per chi si è perso nel buio metropolitano. Conosce Otto Freundlich che dinanzi agli scarabocchi del calzolaio si convince che c’è linfa da maestro nel segno.

 

 

Matura sulle sue tele l’astrazione, ma diventano astratti e macerati anche i suoi polmoni. Viene ricoverato per sei mesi all’ospedale di Nanterre dove gli viene diagnosticata una tubercolosi. Le lenzuola successive saranno quelle del sanatorio di Arnières. Dopo sbocchi di sangue tamponati arrivano sbocchi di colore. Aumenta l’interesse per la sua opera e le sue stravaganze, e le amicizie in ambito artistico si allargano. Nel 1938 organizza la sua prima personale alla galleria Gerbo di Parigi, che suscita l’interesse dei Gleizes e di Robert Delaunay. Il maestro dei vortici colorati ipotizza, prima della morte, un’ulteriore esposizione di lavori di Chaissac.

1939-40. In questi anni pencola ancora per sanatori. È la volta di quello di Clairvivre, per rieducare i polmoni ad ansimi più decenti. Prosegue a inventare “scarabocchi” mentre per mettere insieme pane e companatico risuola scarpe. Fra tanta prosaica quotidianità la folgore dell’innamoramento: uno scarabocchio che si può tenere per un capo e aggomitolarlo.

Incontra Camille Guibert, la sua futura moglie, durante un’esposizione di opere realizzate dai degenti.

In una lettera del Natale 1940, indirizzata alla giovane, Chaissac mostra tutta la cera del suo inconscio e una seduzione cristallina per semplicità:

“Signorina, io vi interesso molto, forse troppo per interessarvi a lungo. Anche voi mi interessate molto, ma non nel modo in cui vi interesso io, voi mi interessate ma non a titolo di curiosità o come soggetto di studio. Quando Pelegrini mi annunciò che una persona interessatasi alle mie produzioni desiderava vedermi, ho diffidato, pensando di aver a che fare con qualcuna strana, un po’ toccata, diffido sempre di quelle che si interessano all’arte, io preferisco la gente meno complicata. Naturalmente non ho cercato di sottrarmi all’appuntamento, ma lo consideravo più che altro un obbligo faticoso e aspettavo senza impazienza questa persona (una giovane dottoressa, pensava Pelegrini) e la sua non venuta mi avrebbe lasciato indifferente. Questa giovane arrivò e (cosa straordinaria) all’ora fissata e non era affatto quello che avevo immaginato, ma era una giovane semplice e simpatica e con il fisico e l’intelligenza vivace delle donne per le quali trovo che hanno tanto fascino. Voi siete maledettamente simpatica e, se vi vedessi spesso, sarei capace di innamorarmi. Oh! Si tratterebbe di qualcosa di assolutamente platonico e di conseguenza nulla di imbarazzante per voi. Peccato che voi non siate un ragazzo, perché sareste un buon compagno. Con una donna, la cosa è seccante, si deve contenere il linguaggio, non si può portarla dappertutto, in particolar modo per me che vado sempre a passeggio attraversando campi, praterie e foreste. Siete forse stupita che io sia un calzolaio. Solo incresciose circostanze me l’hanno imposto, non avrei mai scelto un mestiere da infermo. Ma ci si abitua a tutto, e si finisce con l’amare ciò che si ha l’abitudine a fare. Quello che mi piace in questo mestiere è che si hanno le mani sempre nere, non mi piace avere le mani bianche, e quando esse lo sono me ne vergogno; quello che mi piace è il fatto che è un mestiere umile, e quando mi ritrovo con persone che hanno delle situazioni ancora più modeste mi compiaccio a dir loro: “Voi siete pur sempre piazzato al di sopra di me nella gerarchia, perché infine io risuolo le vostre scarpe”. Ho sempre avuto una predilezione per i lavori rudi e umili e mi sarebbe piaciuto un mestiere dove si hanno le mani ben callose, con molte gobbe, sarei stato fiero di avere un tal tipo di mani. Amo ugualmente tutto ciò che è bello, le cose belle e soprattutto le belle anime, questo devo averlo preso da mia madre, che era una sensitiva. Saluti.”

Negli anni che seguono, quelli della guerra e del dopoguerra, espone al Salon des Indépendants, conosce Queneau, e Jean Dubuffet che cataloga l’Art Brut e lo inserisce fra le “sue” scoperte. Chiassac scrive lettere a non finire, spesso, anzi spessissimo, senza ricevere risposta. E se lo cercano non si fa trovare. Che gli scrivano una lettera! Quest’universo negli anni cinquanta interesserà l’editore Gallimard. Le edita e chiama il libro “Hippobosque au Bocage”. È il 1951. Negli anni sessanta Chaissac si sente come una pianta troppo concimata. Nutre dubbi sulla sincerità di chi lo circonda.

A volte si entusiasma per semplici complimenti dei suoi compaesani di Vix, che ora non lo considerano più un fannullone, visto che è blandito dai cittadini colti, e risponde a muso duro ai galleristi che vengono a cercarlo.

Altre volte fa l’esatto contrario. Arriva poi un altro ospedale che lo incornicerà senza possibilità di fuga: è quello di La Roche-sur-Yon. Spira nel novembre del 1964. E sussurra che va a cercarsi l’interlocutore supremo, quello che lo conosce senza bisogno che gli abbia scritto una lettera.

 

da "Vite con ribellioni, illustri e sconosciute"

Tellus annuario di Claudio Di Scalzo - 2005

 

 

 

 

NOTA

I TELLUS ANNUARIO (2003-2009) con le mie pubblicazioni, con testi a mia cura, sono copyright della mia firma. Attualmente la Cooperativa Editoriale Labos di Morbegno-Valtellina, legata al Partito Radicale, ne fa un uso senza il mio consenso sulla Rete e fuori dalla Rete. Motivo per cui, su L'OLANDESE VOLANTE, quanto attiene alla mia proprietà creativa (che nel dicembre 2009 mi fu sottratta in Rete e fuori da essa) verrà tutto riproposto su L'Olandese Volante.

Il mio sincero anarchismo in materia d'invenzione artistica ed editoriale a volte ha incontrato volgarità inaudite, questa che da troppi anni sopporto, è la più nauseante. 

Claudio Di Scalzo