:: Claudio Di Scalzo: Fichte a Marinella di Sarzana

 

 


 

 

(Marinella di Sarzana, 12 luglio 2011) - Cara Erminia del Soglio Giusto il mare a Marinella è come me lo immagino nei sogni degli altri che il mare, quello del Mito, ancora non l’hanno visto. Lì a Jena vivrai ancora adiacente al riflesso di qualche tratturo, boschivo, anche se stai alla scrivania accosta al vuoto della finestra che guarda l’università. Ho una camera nella stessa casa dove abita Fichte. C’è odore di fritto da mattina a sera, friggono gli sgabei, da farcire con salumi, e le pentole accolgono una pasta condita con salsa verde ricavata da pinoli e basilico. Dopo l’iniziale diffidenza ce ne cibiamo a grandi razioni. Tra una forchetta e l’altra innaffiata da vini bianchi, Fichte mi scodella, scuserai la battuta, la sua Dottrina della scienza, e la mia riflessione sul Tragico matura in una cucina italiana, tra il bettibecco di discinte cameriere con scuri giovanotti che cercano, come si dice qui, di far “flanella” senza curarsi di orari, impegni, morale. La scissione è annunciata dal mio Maestro tra l’Io e il Non-Io, tra Soggetto e Oggetto, e l’Autocoscienza dovrebbe tenere insieme questi movimenti opposti, come la scodella tiene pasta e salsa. C’è qualcosa in Fichte di pugnace, di guerriero, d’invito a fuggire gli accomodamenti per superare il Non-Io che mi fa confinare con la scissione che avverto nell’epoca tra l’Uomo e Dio, tra la Coscienza e la Natura e che configura cosa intendo per Tragico. E non ci aggiungo la scissione tra Amore come forza cosmica e quanto capita a volte di vivere diventando cintura per tenere su i pantaloni fino a che non entri in qualche bordello. Fichte è molto pimpante, ha un tratto “giacobino”, a seguirlo sfianca; e a volte s’accontenta di miserrima fama. E’ passato, e tieni per te l’episodio, un giovanotto sul lungomare indossante una t-shirt con stampata la sua faccia e scritto sotto Idiot. Da non crederci!, Erminia, si è fatto dire dove le vendevano, fra l’altro in una boutique molto alla moda e costosa, e ne ha preso una per sé e una per Schiller!

Ho brividito alla possibilità di finire conciato in questa maniera, sopra una maglietta, riducendo il mio pensiero sulla tragedia a occasione per qualche dimenamento in discoteca dove si sfottono i pensatori. Non accadrà.

Quando sto da solo, dolce Erminia, raggiungo la pineta curiosamente incastonata in una serie di fattorie che van verso le colline, qui mi siedo sugli aghi di pino, soffici come un materasso, e sdraiandomi m’assopisco ascoltando il tubare delle tortore sui rami. Ho con me i frammenti di Empedocle e in questa calma che, momentaneamente, mi consegna alla pace sfilandomi dal Caos che m'annusa come cane randagio italiano in cerca d’ossi, recito a voce alta: “Dov’è il pericolo cresce anche ciò che ti salva”. Per un attimo le piume della tortara sono le tue vesti, il suo volo da un ramo all’altro nella luce meridiana, dedizione verso me protettiva, e la scissione tragica appare non eterna. F.H.