:: Giovanni Boine: Prosa a Maria. VII - a cura di Claudio Di Scalzo


Giovanni Boine con la donna amata Maria 
prima di ammalarsi 

 

 

Giovanni Boine muore il 16 maggio 1917 a Porto Maurizio. In questo maggio è il centenario della sua morte.

Nel ritratto Boine sano bacia la donna amata. Maria Gorlero. Le altre due tavole rimandano a Boine morente e sconvolto, timbrato, dal biglietto che lo informa come lui nella sofferenza d'amore voglia avere un primato e la terza tavola dove Maria Gorlero piange ed il riferimento è ad un frammento che compare in "Prosa a Maria" - (cds . tutte le tavole sono 40 x 50) 

 

Giovanni Boine

 PROSA A MARIA

 

-Le tue domande sono i perché dei bimbi; l’acqua di fonte colla sua borraccina ti fa venire sete, e subito vi tuffi la mano. Allora l’acqua di mare così tanta com’è, mi chiedi perché non ti vien voglia di bere.

-Ma nell’acqua di mare quelle bisce chiare quando è in bonaccia e il fondo, di su dagli scogli lo vedi com’è, quelle anche ti piacciono che non quetano mai.

-Però le cose che piacciono  a te son quelle che ecco ci sono,  e non ci sono  più, la spuma che ride via… e c’è di nuovo il blu!

-Le bolle di sapone quando le fa la bimbetta del giardino di sopra, così lustre-leggere, così zitte-farfalle! Le segui a respiro sospeso e quando subito scoppiano batti le mani.

-Le gioie improvvise che non sai perché, quelle subito t’alzi e scintilli; ma è più di tuo gusto quel riso sereno di quando hai pianto, che io t’accarezzo.

-Le lacrime senza ragione quando non c’è nessuno, che poi io vengo e gli occhi li hai di rugiada ed il fazzoletto lo scordi, sono le più buone lo so, ed il cuore è subito come quando ha spiovuto.

-Ci sono i giorni delle lente malinconie, guancia alla palma sul tuo sedile, ma così dolci così lievi che ecco la rondine ti guizza vicina col suo grido che punge e via se le porta.

-Le cadenze lontane delle canzoni che si sentono non si sentono, subito ti fermi in ascolto. Credi che non sappia che ti fa lacrimare da sola da te nel tuo letto, quando vengono la notte sotto le finestre zitti, e la serenata si leva?... – come un bisbiglio si leva, come un bisbiglio se ne va.

-Le cose che piacciono a te son quelle che ecco ci sono e poi non sono più; i pianti che inventi al piano sono domande brevi, sussurri di notte, lamenti di brezza, e le dici ripeti da te tutta una sera, perché risposta non c’è. I tasti bianchi e neri li tocchi appena appena; allora, se entro, tengo il respiro cammino da non svegliare.

-Quella musica così primavera, canto d’angioli, così da svenire, all’alba di Pasqua rugiada la musica che dice nel Faust: “or la natura si desta all’amor!” m’hai detto una volta che è la più bella, che proprio tutti i giardini mettono i fiori.

-Ma le musiche che cerchi da te, quando dall’orto t’ascolto (vengon da sé, non si sa come!) muoiono di dolcezza subito, c’è dietro lo sconfino dell’ansia. Son come lucciole, le accendi e le spegni, le appendi a un filo lucente nell’infinito. – Son quelle perle di nubi sottili, soffi dell’iride, perline di velo nel tramonto sereno qua e là, che ecco ti volti e non ci sono più.

-Sei così soffio, cos’ iride-soffio, e cristallo sottile che mi dai l vertigine della fragilità. – Ma la ragione che t’amo è che dilati a volte gli occhi di disperata passione e la morte ci passa vicina. Dici con voce di groppo allora: - Abbandonami! Fammi del male perché io sia perduta. Battere il capo nel muro! Ho voglia di disperazione.

 

 

 

Giovanni Boine malato timbrato

al pari nella sofferenza d'amore 

inchiostro per timbri su carta

 cm 30 x 40
maggio  2017

 

 

 Claudio Di Scalzo

L'INFELICITA' DI BOINE  - AMORE E LUOGHI COMUNI

C’è l’amore  e ci sono i luoghi comuni sull’amore. Giovanni Boine ne “Il Peccato” sparge alcuni luoghi comuni decadenti. Invece nella Prosa a  Maria, pubblicata postuma dal solito Novaro, che espunge incolla come gli pare gli inediti,  Giovanni Boine che scrive  dell’amore  e della sua possibile perdita o come esso sia insidiato dalla possibile rovina - sovrapponendo i lineamenti di Maria Gorlero con quelli della suora protagonista de “Il Peccato” - raggiunge i suoi esiti più alti nella forma frammento. Boine racconta l'amore vissuto nel quotidiano in atti a prima vista non poetici e poi scrive, evitando i luoghi comuni, su quanto lo insidia o che finisce per lacerarlo. 

I luoghi comuni sull'amore - anche a inizio novecento ce n'erano di accatastati in ogni porto letterario - possono rendere, anche l’amore più alto, a posteriori, semplicemente una delle tante stazioni dove ci si è intrecciati, per poi scioglierne i viluppi, con l’amorosa sostanza. No, il Boine nelle Prose a Maria, non stacca come  in una collana i diversi grani delle donne conosciute e amate, qui Maria e la suora, le rende fermaglio di quanto porterà con sé morendo.

E ciò è l’altezza dell’amore assoluto. Resa possibile dalla sofferenza inaudita di Boine. Il ceppo del male non più inutile. Serve, come croce, dove conoscere custodire capire l’amore terreno e quello celeste.

Boine negli ultimi giorni della malattia, è profondamente cristiano, rileggendo il manoscritto “Prosa a Maria”, pensa che la sofferenza di lei per amore (che pure lo ha lasciato solo nella malattia dopo indicibili litigi) è “alla pari” con la sua, e così si sente alla pari nella sofferenza con altre figure femminili amate.

 

 

Giovanni Boine e Maria Gorlero

 Illustrazione per "Prosa per Maria"

Maggio 2017


 

Quando legge il biglietto: “è ormai evidente che non vuoi proprio che il mio dolore sia minimamente paragonabile al tuo!”. Rimane stravolto perché non ricorda, sta perdendo la memoria nella malattia estrema, chi glielo scrisse e perché lui in amore non è così. Non sono questo! si dice tenendosi la testa tra le mani. Non merito questo chiodo!

Non vuole alcuna sommità dalla quale guardare le sue vicende sentimentali. Lasciando la donna a naso all’insù. Vorrebbe dire, in quegli attimi, alla sconosciuta che gli ha scritto la lapidaria frase, con la più assoluta purezza che lui sceglie in amore la spiaggia, la parità, non la collina. Tanto più ora che muore. Anche alla letteratura. Ma non può farlo. E allora rileggendo la Prosa a Maria si dice che tutto in questo scritto dice del suo accostarsi alla pari alla vicenda d’amore. Nella gioia come nella sofferenza. Anzi in alcuni frammenti si capisce che le parole di Maria “Abbandonami fammi del male perché io sia perduta. Battere il capo nel muro! Ho voglia di disperazione". Quando lei le profferì, la popolana, fu a lui  superiore in passionalità. E allora, come per pareggiarsi, Boine avvicina la fronte al muro e ce la batte, fino a ferirsi la fronte nel sangue. Che fa il paio con quello che gli uscirà dalle labbra tra qualche minuto. Tossendo.  

Chi ha veramente amato evita, non tanto nell’ascesa dell’amore ma nella sua catastrofe o nella sua perdita, i luoghi comuni. Non so immaginare quelli di un inizio novecento, ma oggi sono del tipo: chi ama non recremina, chi ama non rivendica, chi ama è felice che l’altro incontri persone perché gli incontri arricchiscono il rapporto… sono felice se ti capitano altre cose belle… Galateo ineccepibile della cultura “democratico-borghese” che non rivela gli sfracelli, il caos, la neritudine degli atti, gli equivoci e le soccombenze che l’amore tragico o estremo porta con sé.

Galateo amoroso per disporre i piatti rotti con creanza sulla tavola del tempo che fu!; galateo inutile e scialbo. Se fosse vero questo "galateo" così come quello del Casati contro le relazioni perigliose di Boine, quella con Maria Gorlero su tutte,... sparirebbero i grandi romanzi e i grandi poemi tragici sull’amore, anche i sentimenti tragici nel melodramma,... perché il grande amore si basa sull’eccesso, e su quell’eccesso poi non vissuto, non speso si forma la follia, pure l’assurdità negli atti, e anche il disdicevole, la ferita inconsumabile. Insomma, non sono un intellettuale, ma il Bataille che scrisse su “Cime tempestose”, su Heathcliff e Catherine!,  un poco me lo ricordo.

Boine sa di essere uno sciagurato in amore, sa i suoi limiti, le sue colpe, le sue superficialità verso le gonnelle, ma sa pure che per scrivere d’amore, bisogna  calarsi nel camino spinoso delle voglie delle recriminazioni delle lamentele delle furibonde sciabolate, delle crudeltà immotivate, delle improvvise tenerezze indivise, nel mostrare le proprie fragilità accanto al nerbo del disperato marinaio che non fece altro che cercare porto adatto.

Perché l’amore è il caos con lacrime duro metallo tragico sul quale si può scivolare comicamente come su bilie!, scrive in una lettera poi andata perduta a Maria Gorlero!, e qualche rigo di poesia o di arti non può che dare una momentanea isoletta nel magma a chi vive l’amore in ascesa e perdita. Boine lo sa.  E per questo scrive qualcosa di trasparente, si confessa, col fragile cristallo della “Prosa a Maria”, che il galateo dei sentimenti non può intendere; e infatti il tragico in amore di Boine (e i lati umoristici accosto) è proprio quanto i valenti interpreti di teorie letterarie svicolano. Cosa volete ne sappiano d’amore, di natura, di pulsioni chi vive di cultura da mattina  a sera fasciandosi l’io di citazioni e il non io di chi li avvicina?

Per il centenario che viene, 16 maggio 2017, riguardo a Giovanni Boine l’assente sarà come lui intendeva l’amore e come in essò errò giungendo alla completa infelicità.