:: Claudio Di Scalzo: Giovanni Boine morente 5 Maggio 1917

 
Giovanni Boine morente taglia gli ormeggi...

 

 

Giovanni Boine muore il 16 maggio 1917 a Porto Maurizio. In questo maggio è il centenario della sua morte.

Nel ritratto Boine si risveglia e vede le pieghe-piaghe nel suo letto sulle lenzuola. Misura tutta la sua solitudine lontano da tutto e da tutti. Disperazione di chi taglia gli ormeggi e sa che la nave avrà solo naufragio nella morte prossima ventura. Ho patito a scrivere questo 5 maggio 1917. Accosto al volto devastato dalla febbre e dalla malattia l'incipit di "A tagliare gli ormeggi che poi compaiono anche nella prosa sottostante". (cds)

 

 CDS

GIOVANNI BOINE MUORE

LETTO DISFATTO CARNE FROLLATA

5 maggio 1917

Non scriverò più un rigo su questa malattia mortale!, oltre “a tagliare gli ormeggi”, pensa Boine guardando il letto disfatto dove s'è rigirato carne frollata tossente tutta notte. Il metallo della tisi entra nell’ombelico sbuca nella nuca sobbalzante: assiste al rotolìo dei dolori. Le macchie sulle lenzuola sono il poco grasso che cola nell’ardente supplizio. Muco sangue peli capelli strappati dalla disperazione.

Pieghe delle lenzuola estremi frantumi.  Oh che ti sgrumi mentre remi?, riecco i detti toscani, questo di Livorno, sgrumarsi come nettarsi il sudicio incrostato sulle braccia dal lavoro!, mentre il ceppo inutile del male mi rosola la febbre mi scola. Sono ammattito, mormora Boine invento filastrocche insulse tra le piaghe del letto. Ho detto piaghe? invece che pieghe. Beh. Piaghe! Più di così!

 

 


Il letto di Giovanni Boine la notte del 5 maggio 1917

 Porto Maurizio

 

Se non spiego le pieghe come piaghe,... ecco la verità! un umorista diventato scrittore delle tristi gesta, ah beh Don Chisciotte!, tra gli ulivi,… non scrivo altro sulla morte prossima ventura primo perché finisco crepa scolaro! Ih ih con una crepa in petto! imitante Corazzini piangiolente; devo esser virile! nel sopportare il fardello, la telefonata è stata esplicita l’altrieri!, però oltre al temuto crepascolare non scrivo: da preso in giro dal male che per me s’inventa sempre nuove scale in discesa… perché non voglio che Maria pensi che la schiaccio con la mie lungagnate, si dice anche qui “lungagnata” o solo a Marina di Pisa?, poetiche sul male!, e neppure scrivo alcunché perché senno sia la popolana Maria sia qualche Sibilla che m’ha amato, dica che fino all’ultimo ho reso esclamativa la mia sofferenza e non quella di chi ricordando il legame pativa in silenzio. Sofferenza alta e disperante. Anche se in silenzio, da lontano, senza venirmi a trovare una volta a dirmi una parola da vicino.

Se scrivo sulla mia agonia, chi m'ha amato, prenderà gli ultimi fogli come un me stesso anche paro paro esaltato - paro paro dove si dice? a Brescia? - ed egoista!

Boine compila elenco dei suoi errori nei rapporti amorosi, che fra l’altro riconosce come veritieri:  si ama e non si recrimina, son portato a recriminare?, non si rivendica quanto fatto assieme, sennò strozzi chi dici di amare!, rivendico le belle giornate le poesie non scritte quelle scritte  e buttate, non dovevo farlo!?, è vero rivendico l’insieme, poi sono aggressivo preda di furori strampalati e a volte remissivo come agnello che scambia il coltello per un pettine!, aggressivo e remissivo perché son sempre stato poco vivo!, rime rime fasulle per le mie interiora brulle,…

 


Il letto di Boine l'alba del 5 maggio 1917 - Porto Maurizio

 

Boine si commuove, guarda le pieghe del letto si gira da solo lo spiedo e si dà del saggio morente, a fronte del niente e della scrittura insolvente, se avesse forza riderebbe a crepapelle, a non scrivere nulla su questa sua agonia nel silenzio della camera dove si consuma la rottura con l’esistere. Quello che più ho temuto, nella mia solitudine, è che mi muovessero delle critiche giuste ai miei comportamenti catastrofici in amore in letteratura in politica e che poi non potessi replicare guardando negli occhi la persona che mi forniva elenco. Solo biglietti telegrammi noterelle aghi sottopelle! Ah, buona questa...  

Maria pure imprecava e mi sbatteva le porte in faccia. Sibilla m’incartava, incartare?, di parole istruenti il soggetto irrecuperabile, enfaticamente decadenti; e poi da lontano mi scriveva di quanto l’avessi trattata come “una pezza”, si dice a Imperia, trattare le persone come una pezza da piedi? scordando che se avevo combattuto per anni Croce e Papini non potevo certo accodarmi alla sua visione dialogante con un mondo poetico e accademico - che sembra avrebbe nutrito il nostro rapporto d'amore, ma allora perché non dialogare e conoscere pescatori e operaie e suore e ferrovieri? - in voga! Ho reagito malamente, trattandola come una pezza?, forse perché mi voleva con la cavezza, dovendo accostarmi tramite lei a scrittori ai quali non somiglio in un'unghia! i cui difetti da letterati ho sempre scansato! Questa rima, pezza/cavezza, spiega tutto anche lo strutto della malattia mortale. M'hanno martirizzato in tanti. Nemmeno Ercole sarebbe rimasto sano!   

Prese a tossire che sembrava cuoio battuto. Reggeva la pezzola, guardò le lenzuola, poi si disse, sarò anche colmo di difetti che riconosco!, però a morire son io! son io l'abbandonato! Qui son rimasto. E dietro la porta non c’è nessuno. Per me. Forse non sono così colpevole come m'hanno segnato che fossi. Forse. Se potesse parlare il guanciale saprei la Verità. Ma stanno zitte le lenzuola e la vita s’invola, in altre fitte, finche la camera non sarà sfitta.

Se lasciassi ai curatori dei miei fogli questo rimario eviterei ogni futura interpretazione verso la mia vita in letteratura. Ammesso mi ricordino. Cosa di cui non mi frega nulla. Non mi frega nulla, si dice a Torre del lago? lo scriveva Puccini, mi sembra. Dovrei scrivere imbecillità, non solo pensarle. Poi si buttò sul letto bocconi lasciò penzoloni le braccia e sotto il guanciale sgorgarono lacrimoni. Boine sfinito non s’accorse che viveva in rima una grottesca posizione da moribondo.   

Sullo scrittoio i figli sparsi di “A tagliare gli ormeggi”.

 

A tagliare gli ormeggi il vento via ti soffia. Però non si sa dove.

E sia per dove sia! Il vento mi strappi via, dalla disperazione.

Però a scrutarmi nell’oscurità, che gemere che smarrimento!

Però a cercarmi nella mia pietà stringo le mani in contorcimento non so

che Iddio scongiuri per esaudimento nella improvvisa ingenuità.
 

A notte alzandosi dal letto, scosso dalla tosse, guarderà le sdruciture del letto, le grinze e le pieghe, e penserà che tagliando gli ormeggi la sua nave è giunta in una specie di Antartico dove la chiglia viene stritolata dal ghiaccio del Male. E stessa impressione avrà al mattino con la luce marina che entra dalla finestra. Ghiaccio. Vento della solitudine portami via da qui! Che finisca questa disperazione! Questo mio gemere da notte al mattino perché ogni amore comprensione protezione verso me è più distante del parallelo dell’Equatore dai ghiacci del letto e della malattia.